di Daniela Fusto
Superando il tradizionale approccio che ha caratterizzato fino a oggi la produzione storiografica sulle scuole e sull’istruzione in Italia, prevalentemente basata su indagini a carattere generale incentrati sulla politica scolastica o sui modelli pedagogici, Giuseppe Giarrizzo ha proposto un nuovo percorso di ricerca che mira a puntare l’attenzione sulle singole scuole, a indagare dall’interno le loro vicende, il loro concreto vissuto, a conoscerne i protagonisti, allo scopo di comprendere il ruolo che ciascun istituto scolastico ha esercitato nel territorio di appartenenza, l’incidenza che ha avuto nella formazione culturale e civile dei cittadini che l’hanno frequentata1.
Basandosi su queste premesse metodologiche, il presente contributo espone i primi risultati di una ricerca volta a ricostruire la storia del liceo Nicola Spedalieri di Catania, nel periodo compreso tra il 1861, anno della sua inaugurazione, e l’inizio degli anni Ottanta dell’Ottocento. Nello specifico si è centrata l’attenzione sui docenti che in quegli anni esercitarono la loro attività didattica presso l’istituto, provando a delinearne profili biografici, professionali e culturali e a far luce sui contenuti e i metodi dell’insegnamento impartito agli allievi.
Unico liceo pubblico della città fino alla fine del XIX secolo, lo Spedalieri venne istituito con il Regio decreto prodittatoriale n. 263 del 17 ottobre 1860 attraverso il quale si adottava in Sicilia la legge Casati2. Quest’ultima, come è noto, suddivideva l’istruzione secondaria in classica e tecnica affidando alla prima, rivolta a chi avrebbe proseguito gli studi nelle università, la formazione della nuova classe dirigente. A differenza degli istituti tecnici con finalità e contenuti professionalizzanti, essa era caratterizzata da contenuti teorici volti a fornire una preparazione propedeutica all’istruzione accademica. Nel solco della tradizione degli studi classici, si era scelto un curriculum incentrato quasi esclusivamente su materie umanistiche per il corso ginnasiale, ma che si apriva all’apprendimento di alcune discipline scientifiche in quello liceale, dove si insegnavano oltre che la letteratura italiana, latina e greca, la filosofia e la storia, anche «elementi della matematica, della fisico-chimica e della storia naturale»3. Questi ultimi insegnamenti pur relegati a un ruolo secondario negli istituti classici, cercavano un più ampio spazio, legittimati dal valore sempre maggiore che veniva loro attribuito dalla cultura europea attraversata in quegli anni dalle nuove scoperte scientifiche e dalla diffusione del Positivismo. Nel corso del secolo i governi dell’Italia neo-unificata mostrarono in realtà molte incertezze sulla scelta dei programmi e dei libri di testo da adottare e sullo spazio da attribuire nel curriculum dei licei ai due settori di studio, umanistico e scientifico, incertezza che rispecchiava i vivaci dibattiti pedagogici che videro contrapposti, nella seconda metà dell’Ottocento, i più importanti intellettuali del tempo4.
Attivamente inseriti in questo clima culturale, alcuni docenti del liceo Spedalieri pubblicarono scritti in cui si espressero sulle questioni pedagogiche proponendo le proprie idee sui metodi e i contenuti dell’insegnamento. In particolare coloro che aderirono alla nuova filosofia positivista avanzarono istanze di rinnovamento dell’istruzione scolastica promuovendo un approccio più razionale, realistico e concreto alle discipline. Gli insegnanti di lettere italiane, ad esempio, in aspra polemica con la tradizione ‘classicistico-retorica’ predominante nelle scuole italiane fino ad allora, sostennero che l’insegnamento della loro materia non si dovesse limitare a una vuota trasmissione di regole grammaticali e stilistiche volte a far apprendere il corretto uso della lingua italiana, ma occorresse soffermarsi sui contenuti della letteratura e avvicinare l’allievo a questa, come alle altre discipline, in maniera ‘naturalistico-scientifica’, sviluppando le sue capacità raziocinanti al fine di renderlo in grado di comprendere la realtà che lo circondava.
La polemica contro la tradizione di studi che aveva predominato in Italia fino ad allora era accompagnata da un’aspra contestazione nei confronti del clero che aveva da sempre gestito quel tipo di istruzione censurando lo studio di certi autori e adottando un metodo di insegnamento che impediva allo studente di acquisire una propria libera capacità critica, poiché imponeva regole e verità prestabilite. La nascita del sistema scolastico pubblico nazionale dopo l’Unità aveva determinato la laicizzazione della scuola e contrastato il monopolio esercitato nel campo dell’istruzione dalla Chiesa. Tuttavia l’influenza di quest’ultima continuò per alcuni anni anche nei nuovi istituti scolastici pubblici, considerato che spesso i pochi insegnanti disponibili o con i titoli necessari appartenevano al clero5.
Al liceo Spedalieri l’influenza dell’ambiente ecclesiastico sembra significativa nei primi anni di attività6. Il primo anno scolastico la scuola ebbe sia un direttore di ginnasio, Pietro Laganà, che un Preside di liceo, Giuseppe Coco Zanghì7, appartenenti alla Chiesa, i quali, come si evince dai discorsi che pronunciarono in quegli anni, cercarono di far sì che nell’istituto la formazione intellettuale degli allievi fosse accompagnata da una educazione cattolica: è necessario infatti, asserisce Giuseppe Coco Zanghì, sia «istruire la mente che educare il cuore della gioventù» e afferma che fa parte dei doveri degli insegnanti «insinuare all’opportunità nel cuore degli allievi sentimenti religiosi, o almeno nelle loro menti verità che fondamentano la morale»8. A questo scopo le discipline devono essere interpretate alla luce della religione cristiana. Ad esempio, riguardo la storia, egli chiarisce che «nella serie degli eventi [bisogna; sc.] riconoscere gli effetti di due cause attive e inegualmente autonome, l’una visibile e invisibile l’altra, l’uomo e Dio. […] Lo storico presentando esempi di virtù e di vizio, ponga sovratutto ogni cura nel farci amare la prima e aborrire il secondo»9. I classici della civiltà pagana devono essere presentati agli allievi solo come esempi di perfezione oratoria e formale, mentre ai contenuti delle loro opere occorre avvicinarsi con cautela poiché: «non si dovrebbe ormai negare che maligno, o almeno estraneo germe provenga dal porre nelle mani degli allievi i soli classici del paganesimo e dell’idolatria non ispiegati cristianamente. […] I giovanetti arrossiscano trovando in que’ libri esempi solenni di gesta dalle quali noi illuminati dal Cattolicismo ci troviamo spesso lontani; non riconoscano come virtù tante azioni, che stimate altrettali in quel tempo, oggi appariscono manifestazioni di lurido egoismo e di mascherato amor proprio»10. La letteratura italiana è citata come studio della «italica favella»: «si tratta qui non solo di avviare la gioventù alla conoscenza perfetta della lingua, della poesia e dell’oratoria patria, ma anche di modellarla su’ classici greci e latini, i primi cultori delle lettere nelle nostre contrade»11.
Per quell’anno venne nominato docente di letteratura italiana al liceo, Vincenzo La Rosa. Egli stesso nel discorso augurale pronunciato in occasione dell’apertura dell’istituto, in linea con le disposizioni del Preside Zanghì, incita alla valorizzazione delle lettere in quanto strumento di elevazione morale e spirituale: «è ufizio delle buone lettere, come della filosofia cristiana il guardare con indifferenza i beni di quaggiù, non abbagliarci dalla loro appariscenza, e vivere secondo la provvidenza ordina e dispone. Chi vive secondo la vera civiltà è uomo del Vangelo, e gode di quella beatitudine che si può godere qui in terra»12.
La Rosa illustra poi in breve, rivolgendosi ai suoi allievi, il suo programma d’insegnamento. «Scopo dei nostri studi» − afferma − «non è la vana curiosità ma il ben parlare e l’ottimo scrivere»:
Né crediate, o giovani, che i nostri studi si raggireranno sopra materie impenetrabili e vane, o immaginarie e supposte; posciaché noi vi condurremo per un sentiero segnatoci dall’alta sapienza regolatrice degli studi d’Italia. Di fatto per procedere con ordine e metodo dimostreremo dapprima il bisogno che ha ciascun uomo d’istruirsi nella lingua e nella letteratura della sua nazione, per essere civile e gradito all’universale, essendo le forme, onde si vestono i nostri pensieri i veri pregi dello spirito umano. Daremo poscia uno storico cenno intorno alle origini della lingua e letteratura italiana e di tutti i suoi mutamenti ora in meglio, ora in peggio, per essersi taluni ingegni allontanati da’ veri padri delle italiane lettere. E però ricorderemo con plauso i secoli della nostra buona letteratura, e faremo le debite lodi de’ migliori scrittori che si sono segnalati, facendo la disamina del loro stile, notando le bellezze della loro lingua, e le immortali prerogative delle loro opere. E un Dante un Petrarca un Boccaccio un Passavanti un Cavalca un Pandolfini dobbiamo noi in particolar modo studiare, come aurei scrittori del trecento: del quattrocento loderemo e studieremo il Poliziano: del cinquecento l’Ariosto il Caro il Firenzuola il Tasso il Guicciardini il Casa: del seicento il Bartoli il Pallavicini il Segneri (tolti alcuni difetti propri del secolo) del settecento Gasparo Gozzi: dell’ottocento il Parini il Monti il Botta il Leopardi il Cesari, il Perticari il Giordani. E per guide nella storia letteraria seguiremo Giuseppe Maffei, e Paolo Emiliani-Giudici; posciaché se nell’uno troveremo le notizie letterarie adorne di facile stile e preciso, nell’altro sono le materie meglio ordinate e le cagioni delle vicende nelle lettere con molto acume indagate e spiegate.
Date larghe lodi a’ degni per imitarsi i loro pregi, faremo parola de’ secoli di corruzione nelle lettere e degli scrittori che hanno avuto parte a tanto pubblico danno, essendo le buone lettere maestre di civiltà all’umana famiglia e decoro alle nazioni; e perciò colla corruzione di esse si corrompe la civiltà di un intero popolo […].
E per vedere in pratica i progressi nello studio si dovrà in frequente comporre sì in prosa, come in verso, e si dovrà parlare in italiano13.
Studioso di retorica, imposta il programma di letteratura italiana sull’apprendimento della lingua, aderendo tra l’altro a un preciso modello linguistico, quello della tradizione classicistica, come si evince dalla scelta degli autori: prevalgono gli «aurei scrittori» del Trecento e del Cinquecento, e per l’Ottocento predilige lo studio dei difensori del purismo o del classicismo quali il Cesari, il Perticari, il Botta e il Giordani14. Gli interessi di La Rosa per l’aspetto formale della disciplina sono confermati anche dal suo opuscolo Elementi di rettorica15:
La favella è uno de’ più singolari privilegi che Dio diede all’uomo; perocché con essa riceve perfezione, quindi è necessario che si parli con proprietà e con esattezza. L’arte che ciò insegna dicesi retorica. Se non che quest’arte è stata talora rivolta a corrompimento degli uomini con pompa e falsi ornamenti, ma la vera dimora nel pensar retto espresso con nobile semplicità; sicché sana logica e soda rettorica deggiono andar sempre congiunte nell’opera di parlare e scrivere. La rettorica dà le regole di ben parlare nella prima parte delle sue istituzioni; nella seconda si applicano le dette regole all’arte oratoria e a’ vari generi di comporre in prosa, nella terza se ne fa l’applicazione all’arte poetica e a’ vari generi di comporre in verso16.
Si evince dai suoi scritti l’impegno nel ricercare il metodo migliore per agevolare l’apprendimento dei giovani allievi
Le istituzioni di retorica dell’Inglese Ugone Blair17 sono state riputate dal generale consenso de’ dotti l’opera migliore in sì fatta materia sicché le varie istituzioni di rettorica si son fatte seguendo le orme di lui, il quale è stato piuttosto compendiato che seguito. Noi abbiamo voluto dare gli elementi di esse istituzioni seguendo i principii di tale opera come la migliore in sì fatto genere.
Abbiamo cercato di ordinare e dare agli elementi un’aria di novità, se non nella materia, almeno nella forma; affinché si potesse facilmente adattare alla istruzione giovanile. Abbiamo creduto ancora dovere essere molto brevi e precisi sopprimendo anco gli esempii per non aumentare la mole del volumetto. Per altro gli esempii possono facilmente supplirsi dalla voce del maestro potendosi attingere dal Blair dal Soave o Montanari18, o dagli Elementi di rettorica del Fava, o dal Picci del Di-Giovanni. In somma si è voluto compilare un libretto pei giovanetti e non per gli adulti19.
E ancora nell’opuscolo Elementi della storia della letteratura italiana:
Chi ha avuto occasione di dettar da qualche cattedra o di dar lezioni private, ha potuto facilmente vedere come a’ giovanetti tornino facili solo gli elementi delle materie che dovranno apparare, e come non ci sia peggior cosa che confondere le loro tenere menti con lunghi trattati o con multiplici discipline, essendo questo il vero mezzo per non far apprender nulla. Laonde si grida da più tempo in Italia che fa d’uopo che i maestri di lettere o scienze scrivano facili e brevi trattati di elementi, rinunciando alle lode che potrebber cogliere di dotti ed ingegnosi scrivendo lunghi lavori, e che in sì fatto modo, potranno spendere utilmente il tempo, rendendo piana la via all’istruzione de’ giovani.
Gli elementi di rettorica del Fava rispondono bene a questo fine, come quelli che racchiudono in un volumetto una vasta materia; ma la storia letteraria, in qualunque autore si voglia studiare riesce lunga e complicata, e gli alunni se ne scoraggiano e non ne cavano alcun profitto. Per la qual cosa m’avvisai riuscire assai utile, se non necessario, il dare in un breve libretto gli elementi delle italiane lettere, affinché gli allievi avessero una guida certa nel loro cammino, restando poi affidato alle cure del professore il dilatarsi dalla cattedra, in quelle materie specialmente che richiedono maggiore sviluppo20.
Tra il 1862/1863 e il 1866/1867 la cattedra di letteratura italiana del liceo passò a Francesco De Felice. Nato nel 1821 a Catania, qui aveva iniziato i suoi studi che completò poi a Palermo prima di intraprendere la professione di insegnante. Figura di rilievo nelle vicende politiche locali del periodo pre-unitario, nel 1848 fu tra i primi iniziatori del moto rivoluzionario, e venne nominato prima Segretario del Comitato Centrale della provincia, poi Ispettore generale di guerra, e infine deputato al Parlamento. Fallita la rivoluzione fu incarcerato a Messina, dove rimase per alcuni anni prima di essere mandato al confino, ma continuò a lavorare e cospirare per la libertà della patria, e già prima che si conoscesse lo sbarco di Garibaldi in Sicilia fece insorgere la città di Lentini. Garibaldi lo nominò poi maggiore di fanteria e Presidente del Consiglio di Guerra divisionale. Nel 1861 intraprese un viaggio a Torino dove conobbe il Prati, il Giudici, il Brofferio, il Guerrazzi; poi fu a Milano dove Cesare Cantù lo presentò al Manzoni e in seguito a Firenze. Percorse poi la Svizzera per studiare i metodi pedagogici del Pestalozzi e del Girard. Destinato nel 1862 dal governo a essere Maggiore di piazza, De Felice chiese invece di ritornare nell’insegnamento21; il Ministro De Sanctis lo nominò, allora, professore di Filosofia nel Regio liceo di Catania. Nelle lettere aveva esordito prima dei vent’anni con parecchie poesie siciliane e italiane, e con un volume di cenni biografici d’uomini illustri siciliani; scrisse anche un poemetto in versi sciolti, intitolato Ultime ore d’un pentito (Venezia 1845)22.
Filosofo d’indirizzo positivista, studioso di metodi pedagogici23, è molto attento al valore dell’educazione morale degli allievi. Si tratta però di una morale laica che nasce dall’osservazione della natura: è «cosa sommamente difficile, se non impossibile, il progresso dell’educazione intellettuale, ove questa non siegua le orme della educazione fisica e di quella morale […] ed ove queste si discostino dalle indicazioni della maestra natura»24.
Per lui, intellettuale di formazione filosofica e non classica − sconosceva infatti latino e greco −, lo studio della letteratura italiana non deve essere finalizzato esclusivamente ad apprendere la lingua ma va inteso in senso più ampio come asserisce nell’opuscolo del 1862 Introduzione alla letteratura italiana, in cui espone per i suoi alunni di terzo liceo i principi alla base dello studio della materia:
Non pochi son quelli, i quali non veggono rapporto nessuno tra le lettere e le scienze filosofiche, e che per Letteratura non intendono altra cosa, che un artificio di mera forma tendente a soddisfare l’udito, od un’applicazione di regole suggerite dalle immani retoriche, per produrre opere di mero diletto o di semplice passatempo. Ma ben altro significato ha per me la parola Letteratura, e tale che in chi la professa è mestieri sieno vaste e profonde conoscenze sull’uomo e sulla società; è mestieri ch’egli sia dotto in ogni Letteratura, non già come lo spagnuolo Andres o l’italiano Quadrio; ma piuttosto siccome gli altissimi intelletti di Bacone e di Vico; è mestieri infine ch’egli sia storico e filosofo, e che abbia inoltre tutte quelle conoscenze le quali formano il pubblicista eccellente25.
La letteratura è uno strumento per conoscere l’uomo e la società in cui è vissuto poiché essa è un prodotto dell’attività dello spirito umano:
Il genio anche volendo, non può non versare nell’opera sua gli affetti, le gioie, i dolori, la fede, i disinganni, le speranze, i timori e tutta intera la sua vita. In guisa che una mente investigatrice può facilmente dalla natura ed indole d’un’opera conoscere i pensieri e i sentimenti dell’autore di essa, giacché qualunque opera d’ingegno non è se non il complesso degli affetti, delle idee e de’ giudizi dell’autore. Ond’è che io giudico, che tutte le opere de’ sommi intelletti, i quali studiarono indefessamente nel libro della natura, sieno appartenenti alle Arti ovvero alle Scienze, tutte vanno comprese nell’Antropologia, o scienza della natura dell’uomo.
Il genio inoltre, come toccai, è sempre in rapporto col tempo e col luogo in cui nacque. La terra e l’età che il videro nascere sono le due prime educatrici della sua vergine intelligenza e del suo cuore; ed è impossibile però ch’egli rimanga individuo separato dalla società alla quale appartiene, e che non s’immedesimi nell’indole del suo secolo, e nella natura e civiltà della sua terra natia 26. […]
Ciò che io vedo dunque nella Letteratura si è la più chiara e diretta espressione dell’uomo, della società e de’ sociali progressi, e quindi il naturale connubio delle Arti, delle Discipline e delle Scienze, perché nell’uomo e nella società vedo la Sensibilità, la Volontà e l’Intelligenza legate in unico principio, nell’Attività dello spirito umano.
Noi dunque, giovani cari e fratelli, studiando la Letteratura, studieremo le passioni e i diritti degli uomini, lo spirito e le costumanze delle nazioni, l’incivilimento de’ popoli; giacché essa comprende tutto l’uomo, ed è l’indice dello stato morale, politico, economico e intellettuale della società27.
Oltre che insegnante di letteratura italiana, De Felice, come si è già accennato, fu anche docente di filosofia presso lo Spedalieri fino al marzo del 188228. Di questa sua attività egli stesso fa riferimento in due scritti: Elementi di Filosofia positiva29 e Tesi di Filosofia per gli esami di licenza liceale secondo il programma governativo30. Nel primo difende ed espone i principi del Positivismo. Occorre a suo parere «dimostrare e rendere popolare mediante gli scritti e il pubblico insegnamento, la nuova direzione degli studi filosofici, […] determinare l’unica, la sola ed invariabile norma che deve guidare le menti nell’avvenire, quella cioè che fonda la scienza sui fatti, e che da Galileo a noi non è stata seguita per il predominio della scuola teologica»31. Nel secondo scritto critica le tesi scelte dal governo prima del 1867 per gli esami di licenza liceale, poiché di stampo ontologico. Tesi come la Semplicità e medesimezza dell’anima, o Di Dio Creatore e Provvidente, o, ancora, Dello stato dell’anima dopo la morte − afferma − non si accordano in nessun modo con i princìpi positivisti32 che lui intende trasmettere ai suoi allievi, come risulta chiaro dal suo frequente rivendicare il diritto dei docenti di insegnare le proprie idee filosofiche33:
Sebbene come esaminatore non abbia mai preteso che i giovani non alunni liceali ripetessero le mie dottrine e mi fossi contentato sempre anche di quelle dottrine che fanno a cozzi con le mie, purché il giovane mi desse la certezza d’aver più o meno bene studiato la scienza; pure come professore ho il diritto di pretendere che gli alunni del R. Liceo in cui insegno, vengano informati a’ miei principi, e che negli esami ripetano ciò che io ho loro insegnato34.
Infatti, nel suddetto opuscolo Elementi di filosofia positiva, all’esposizione delle teorie filosofiche premette delle considerazioni sui programmi varati quell’anno dal Ministro Coppino35 che approva proprio perché, a suo dire, emancipano gli studi filosofici da qualunque ingerenza governativa, «lasciando i professori liberi di insegnare […] que’ principi che gli sono propri»36.
Quello stesso anno (1867) Giuseppe Bustelli assunse l’incarico di docente di letteratura italiana, incarico che mantenne fino al 1869/187037. A differenza di De Felice, Bustelli era un filologo, grecista e latinista. Nato a Civitavecchia il 9 aprile del 1832 da Nicola e da Laura Arcangeli, dopo aver completato gli studi a Viterbo si era trasferito a Roma, dove nel 1854 aveva conseguito la laurea in legge. L’anno successivo aveva esordito come poeta con Alcuni versi (Alessandria 1855), una raccolta che costituì il primo nucleo dei Canti nazionali (Firenze 1859), un’edizione successivamente accresciuta (Bologna 1864) e che lo rivelò classicista con una forte componente patriottica, lontano quindi, di fatto, dai poeti della «scuola romana». Con loro, però, Bustelli ebbe in comune il maestro latinista L.M. Rezzi. Nel 1858 uscì il suo volgarizzamento del libro 1° degli Annali di Tacito (Roma 1858), lodato, fra gli altri, dal Tommaseo. Pubblicò poi per interessamento del Carducci Vita e frammenti di Saffo da Mitilene (Bologna 1863), e si occupò di traduzioni da Petronio, Catullo, Virgilio e altri autori, che talvolta fece apparire nei periodici fiorentini e bolognesi cui frequentemente collaborava. Infatti, iniziata nel 1861 ad Ascoli-Piceno la carriera di docente di lettere, il Bustelli insegnò a Bologna dal 1862 al 186738, con un’attiva presenza culturale: più che il saggio dedicato a Vittoria Colonna (pubblicato in «Rivista bolognese», 1867, IV ss.) è da ricordare la polemica Carducci-Fanfani-Bustelli a proposito della Storia d’una crudele matrigna. Verso la fine del 1870, divenuto ordinario nei licei, Bustelli passò da Catania a Milano; ma fu costretto ben presto, per l’ostilità dell’ambiente scolastico, a trasferirsi a Bari39.
Nella Professione di Metodo per il magistero delle Lettere Italiane nel R. Liceo Spedalieri, pubblicata in appendice al suo Elogio di Tommaso Campanella40, si riferisce alle nuove disposizioni del Ministro Coppino asserendo di approvarle poiché promuovono uno studio fondato sugli esempi e sull’analisi del testo:
Le novelle Istruzioni e i novelli Programmi per l’insegnamento ginnasiale e liceale, che il signor Ministro dell’Istruzione Pubblica sostitutiva nello scorso ottobre ai Programmi vecchi, introdussero in esso insegnamento non poche e non lievi novità. [Per le lettere italiane; sc.] il signor Ministro, provvedendo anzi al profitto reale della gioventù che alla vana pompa della cattedra, volle abolite le larghe ed alte e teoriche dissertazioni di estetica, di critica e di storia letteraria, e a quelle surrogò lo studio pratico della estetica, della critica e della lingua nazionale, per la via più spedita e più sicura e alla meta più conducevole degli esempii41. Per cotal guisa alla estetica e alla critica campate in aria, e indefinite e confuse così nei propositi come nelle sembianze e negli effetti, e disparate il più da ogni esempio, e dai grandi archetipi classici bene spesso discordanti, succedettero l’estetica e la critica di forme ben distinte e scolpite e incarnate con favella patria; una critica ed una estetica tratte vive e palpitanti dalle viscere de’ più esemplari dettatori, e perpetuamente affratellate con l’esercizio dello scrivere42.
Continua illustrando il suo metodo d’insegnamento e gli autori scelti che, come lui stesso sottolinea, corrispondono a quelli stabiliti dal Ministro:
Imprendendo il mio insegnamento nel R. Liceo Spedalieri io debbo conformarmi, e di buon grado mi conformo, alle novelle prescrizioni […]. Io qui debbo solamente e brevemente abbozzare il metodo che per me si userà ammaestrando ed esercitando i nostri alunni nella pratica dello scrivere.
Delle quattro lezioni assegnate alla prima Classe la prima sarà spesa nella lettura della Cronaca del Compagni, la seconda in quella delle Storie Fiorentine del Macchiavelli, la terza in quella del Petrarca; nella quarta si leggeranno e si correggeranno i componimenti settimanali, or d’uno or d’altro genere, e per lo più prosastici. Queste letture saranno talora alternate con quelle di eletti brani dell’Ariosto, del Tasso e di altri fra i migliori poeti e prosatori italiani d’ogni secolo. Delle tre lezioni assegnate alla seconda Classe la prima sarà data alla lettura del Saggiatore di Galileo Galilei, la seconda alla Commedia di Dante; nella terza saranno a quando a quando mescolate quelle de’ brani scelti di altri fra i più segnalati prosatori e poeti nostri d’ogni tempo, si per provvedere alcun poco alla varietà, e si perché i giovani conoscano alquanto le vicende della lingua, dello stile e del gusto in Italia. Sarà prescritto ad amendue le Classi lo studio a memoria e la recitazione de’ luoghi più insigni negli autori via via letti; e siffatte letture saranno continuamente illustrate da molto utili considerazioni filologiche ed estetiche, e più parcamente dalle istoriche. Rispetto alle illustrazioni filologiche, non saranno neglette le diverse origini e le vicende diverse delle voci e locuzioni italiane, né, tra le varianti e i conciari de’ classici testi, quelli che vagliano a scoprir le finezze dello scrivere, o, come il Tommaseo direbbe, le cure minute, ma non minuziose, dell’arte; e il linguaggio puro e ancor vivo de’ nostri antichi sarà messo a riscontro col barbaro de’ moderni; e i giovani saranno addestrati a scernere i barbarismi in genere e i gallicismi in specie dalla parte buona del parlare corrente, e a sostituire i vocaboli e i modi nostrani ai forestieri, cansando ad un tempo l’arcaismo e, quanto è ragionevolmente possibile, il neologismo. Assai cure saranno date ad assuefare i discenti, non solo alla purità e correzione ed eleganza, ma altresì alla proprietà rigorosa del linguaggio; dote non meno necessaria alle verità della scienza che alle bellezze dell’arte; traendo a ciò ajuto dalle indagini etimologiche, comparate con l’uso più costante della classica antichità italiana, e col più generale e più approvato uso della lingua parlata e scritta dalla buona modernità.
Quanto alle illustrazioni estetiche, saranno all’uopo brevemente ricordate ai giovani le capitali e più sicure e più efficaci norme del bello; saranno additati la forma, la struttura e lo andamento schietto e nativo del periodo e dello stile italiano; le differenze degli stili secondo le diverse indoli degli scrittori e dei secoli; l’unità del concetto accordata con la varietà, l’economia delle parti, la proprietà de’ pensieri e la compostezza degli affetti nelle opere classiche; saranno contrapposte le immagini e le figure di queste, tanto più vive quanto meglio fondate nel vero artistico, alle immagini e alle figure viziose che negli odierni scritti spesseggiano; e simili industrie. E, generalmente parlando, ogni lezione si ridurrà, quanto più si possa, ad un continuo colloquio e cambiamento d’idee, per domande e risposte, fra l’insegnante e i discepoli; e con ogni cura si noteranno, e possibilmente si emenderanno, ne’ componimenti le falsità o vanità o contraddizioni di concetti, i mancamenti di unità e di connessione, di economia e di varietà, la turgidezza o difformità delle immagini e delle figure, le violazioni della convenienza ne’ pensieri e nella loro significazione, i falli così di sintassi come di lingua e di dettato; e via discorrendo. Per conchiudere, né ideologo né logodedalo; questa divisa io mi piglio; e pochi motti la chiariranno: «né divorzio dalla filosofia, né scambio di magistero con la metafisica; né arte senza scienza, né scienza senz’arte; né meri vocaboli, né astrazioni mere; né eleganze esanimi, né concetti idropici, la cui vanità paja persona mediante i boati d’una loquela orgogliosa delle proprie tenebre, orgogliosa d’una ostentata barbarie». Io mi propongo di ammaestrare questa gioventù per modo, ch’ella, in iscambio del poter dire «il Professore sarà sublime d’ingegno e di studii e di facondia, ma io non intendo né imparo nulla» debba, non attonita ma paga, confessare «il Professore non volerà sopra tutti come aquila, e non sarà l’armadio di tutto lo scibile, ma io vo profittando».
Questa, per mio avviso, è l’unica via che possa menare i giovani a raccogliere dall’insegnamento scolastico delle lettere italiane frutti e non fronde; frutti veraci, io dico, e duraturi e praticamente utili a bene usare l’arte si possente e si ardua della parola.
Catania, novembre del 186743.
Bustelli si presenta come promotore di uno studio fondato su un approccio diretto ai classici e finalizzato ad apprendere l’uso della lingua italiana, una lingua priva di parole straniere e parimenti lontana dall’arcaismo e dal neologismo, ma che doveva conformarsi al linguaggio «puro e ancor vivo degli antichi» a cui era da contrapporre, evitandolo, «il barbaro dei moderni». Frequente è inoltre nei suoi discorsi la volontà, più volte manifestata, di evitare la pedanteria e l’eccesso di retorica. Un esempio di lezione lo si può ricavare dalla pubblicazione di un suo commento sulla Canzone di Petrarca All’Italia, pronunciato in occasione di una delle conferenze aperte al pubblico esterno che si tenevano periodicamente presso l’istituto44. Dal commento si rileva sia l’attenzione data da Bustelli allo studio filologico, sia la sua ‘vena patriottica’. La scelta della canzone doveva «testimoniare ad un tempo la [sua; sc.] duplice devozione e alla patria italiana e al poeta immortale che la cantò»45. Nel commentare la Canzone, che era già stata letta e interpretata a scuola, Bustelli, ripetendo come egli stesso dice «le considerazioni già fatte in quella congiuntura», procede con questo metodo: 1. scegliendo e spiegando luoghi degni di nota dal lato filologico; 2. aggiungendo chiose letterarie e storiche ai passi più difficili da capire; 3. notando «alcune tra le più osservabili finezze e bellezze di sentimento e di elocuzione»46.
Tra il 1872/1873 e il 1874/1875 insegnò letteratura italiana al liceo Spedalieri il poeta Mario Rapisardi. Nato a Catania il 25 febbraio del 1844 da genitori di modeste origini, ricevette la prima educazione da insegnanti appartenenti al clero: il canonico Mario Torrisi, che gli insegnò retorica e lingua latina; il canonico Salvatore Bruno, suo maestro di letteratura; e infine il francescano Antonino Maugeri47. Intraprese poi, spinto dal padre, gli studi giuridici, ma non si laureò; dovette la sua attività di insegnante ai titoli letterari acquisiti attraverso le pubblicazioni e all’aiuto di amici come il poeta Francesco Dall’Ongaro che aveva conosciuto insieme al Prati, al Tommaseo, alla Fuà Fusinato, al Fanfani, nel 1865 durante il suo primo viaggio a Firenze48. Tra le sue opere principali ricordiamo: La Palingenesi, Le Ricordanze, il Lucifero, il Giobbe, l’Atlantide e le Poesie religiose.
Fu un umanista, in sintonia con la cultura positivista a lui contemporanea, conoscitore da autodidatta delle opere degli antichi greci da cui riteneva si dovesse riprendere «il modo di intendere e riprodurre il vero»49, e dei latini tra i quali amava in particolare Lucrezio, di cui tradusse nel 1880 il De rerum natura50. Riteneva che solo il pensiero scientifico potesse portare l’uomo alla scoperta di una verità senza compromessi, sosteneva che il pensiero dovesse fondarsi sull’analisi delle leggi della natura, ed era per questo contrario a ogni forma di dogmatismo. Contrapponeva all’ascetismo imposto dalla Chiesa il materialismo, inteso come «concezione meccanica della natura»51, verso il quale era indirizzato, a suo parere, il mondo contemporaneo:
Il materialismo è l’avvenire della scienza e dell’umanità: lo si maledice per ignoranza o per mala fede; si accusa d’immoralità quando esso è la più alta espressione della morale […].
Combattere perciò la religione di Cristo che annichila l’umana personalità, sposta i poli della vita, nega la famiglia e la patria, è opera non dirò solamente morale ma santa. Essa, come già le altre, cadrà; e il materialismo vituperato adesso spiegherà la sua bandiera trionfante sulle rovine. Il materialismo sarà la religione degli uomini che non devono più credere alle rivelazioni di un mucchio d’ignoranti fanatici, a meno che non vogliano coprirsi gli occhi per non vedere e tapparsi le orecchie per non sentire. Alle visioni e all’estasi si è sostituito il telescopio; ai nomi di S. Teresa, di Frate Alberico e di S. Patrizio quelli di Galileo, di Newton, di Laplace, di Herschell; ai fabbricatori di mondi in sei giorni, le opere di Darwin, di Huxley, di Buchner, di Moleschott, di Strauss52.
Dal 1870 Rapisardi insegnava letteratura italiana presso l’Università degli studi di Catania in qualità di incaricato annuale53, ma le necessità economiche lo spinsero nel 1872 a richiedere, su suggerimento del suo amico Francesco Dall’Ongaro, anche la docenza presso lo Spedalieri:
Considerando che le Università secondarie sono destinate a perire o a trasformarsi in istituti minori, non ti piacerebbe una cattedra di letteratura in un Liceo, nella quale abbasseresti, è vero la voce, ma buscheresti uno stipendio quasi triplo? senza chiuderti il varco al passaggio, quando che fosse ad una delle università maggiori?
Se fossi in te accetterei, anche perché in un Liceo avresti discepoli veri, e faresti una vera scuola.
Non ti dico già che il posto ci sia bello e pronto, ma sarebbe facile che si presentasse, e ch’ io potessi perorare efficacemente per te. Rispondi subito per mia norma qui a Roma presso il ministero della pubblica istruzione54.
Qualche giorno dopo, il Dall’Ongaro sempre da Roma scrive ancora al Rapisardi in proposito, rispondendo a una lettera nella quale egli lo aveva interrogato sulla possibilità di sostituire un docente del Liceo:
Il professore del Liceo non è dimissionario, ma chiese ed ottenne due mesi di riposo per causa di salute. Ove la causa divenisse permanente allora sarà il tempo di rinnovare la tua domanda, e sarà spero accolta favorevolmente.
Intanto potresti dall’autorità scolastica locale ottenere di supplirlo, senza lasciare la tua cattedra universitaria, ch’è sempre il tuo punto d’appoggio.
Non posso dirti di più se non raccomandarti un po’ di quella pazienza che esercito da tanti anni, e non mi abbandona, perché pur troppo ne avrò tuttora mestieri.
In fretta con tutto l’affetto. Tuo Dall’Ongaro55.
Rapisardi accettò, fu dapprima supplente (per qualche mese nel 1872) e poi, per circa tre anni scolastici (dal 1872/1873 al 1874/1875), professore reggente di letteratura italiana56, nel pieno periodo della redazione del Lucifero (1869-1876).
Certamente faticoso, considerata anche la sua salute malferma, fu per lui il doppio insegnamento. Così scriveva infatti a Calcedonio Reina nel 1873:
Son professore al Liceo e all’Università: quattr’ore al giorno di occupazione, e circa tremila franchi all’anno. Lavoro di buona voglia ma un bel giorno manderò al diavolo ogni cosa e andrò a farmi romito. Scrivo il Satana, cose terribili, se tu sapessi! Il paradiso in caricatura; l’apoteosi della ragione; l’uomo che si mette al posto di Dio, e tant’altre cose da far venire i brividi57.
Poi nel novembre dello stesso anno, in una lettera indirizzata ad Erminia Fuà Fusinato58, esprime tutto il suo sdegno verso un improvviso provvedimento del Ministro della Pubblica Istruzione:
Gentilissima ed illustre signora,
Tornato a Catania dopo d’aver corso non pochi pericoli nel Lazzaretto di Nisida dove sono successi più casi di colera, senza contare i disagi di un viaggio orribile che durò non meno di 33 ore, quando si fa regolarmente in sole 16 ore, e tutto questo per trovarmi in tempo all’apertura delle scuole e per non domandare un secondo congedo al ministero, come hanno fatto tanti altri professori, mi vien data la poco grata sorpresa che il ministero ha ritenuto il mio stipendio mensile di ottobre senza assegnarne nessuna ragione.
Io non so veramente a qual cosa attribuire cotesta sospensione: so che i miei amici di qui hanno nella mia assenza lavorato di buzzo buono per discreditarmi presso il ministero e insidiarmi questo misero tozzo che io vorrei poter gittare nelle loro gole per farli una volta tacere, ma non ho creduto mai né credo ancora che il governo potesse mai farmi il torto di dar retta piuttosto a loro che a me. La prego perciò mia gentile signora, a voler prender conto di questo o dal Masi 59 o da altri perché io sappia almeno la ragione di questa sospensione; e se mi si voglia dare un castigo, o sia stata piuttosto una dimenticanza.
Ché se codesto signor Ministro, o chi per lui, crede in coscienza che io sia degno d’esser trattato con tanta poca delicatezza, in fede mia, io son capace di provargli con la mia dimissione che al di sopra di quei meschini franchetti che pur mi sono necessari e al di sopra di qualunque altra ricchezza io ho avuto e avrò sempre l’orgoglio di porre la mia dignità. Canterò un inno alla miseria e alla libertà, e porterò con me la soddisfazione di avere fatto il mio dovere e di tenermi rispettosamente lontano da questa combriccola di così detti professori, che io vorrei chiamar soltanto ramarri se non avessero anche l’istinto della volpe e del lupo60.
Dalla lettura della sua Introduzione allo studio della letteratura italiana pronunciata nel 1870 ad apertura del suo corso presso l’Università, si rileva il modo in cui Rapisardi concepiva l’insegnamento di questa disciplina:
Quando la letteratura degli studi superiori e delle università fu voluta ridurre ad un superficiale ed ozioso esercizio di retorica e d’umanità, bastava esporre più o meno diffusamente le regole del bello scrivere, annoverare con più o meno di scrupolo le figure così dette di parola o di pensiero, leggere o commentare Petrarca a documento incontestabile della loro patavinità , invocar l’aiuto del P. Segneri o del P. Bartoli (padre sempre, già si intende), masticar qualche verso latino d’ Orazio a foggia d’agnus dei, e impartire infine la santa benedizione a solenne remissione dei peccati di pensiero e di parola, come le loro figure, che gli scolari avean potuto commettere fra una tentennata di capo ed un sonoro sbadiglio.
Per noi, o signori, lo studio della letteratura è tutt’altro. Io mi sarei vergognato di salir questa cattedra, se non avessi assunto con me stesso l’impegno di dimostrarvi, come la letteratura non sia semplice studio di forma ma di concetti, non di soli libri ma di uomini, non maestra di lambiccate eleganze e di provocanti civetterie, ma solenne istitutrice di popoli ad esempio di virili costumi e documento infallibile di civiltà.
Per la qual cosa, mentre noi rivolgeremo le nostre cure all’investigazione delle forme differenti delle arti della parola, non trasanderemo di studiar l’armonia che tutte le obbliga e affratella; mentre discorreremo i principii e la storia gloriosa dell’arte nostra, noi andrem ricercando le più o men visibili influenze esercitate dalle antiche letterature e dalla lingua greca e latina sull’indole della nostra lingua e sullo spirito della nostra letteratura; mentre studieremo le glorie e gli errori, le vergogne e i trionfi del nostro passato, disporremo l’animo e l’ingegno alle più strenue battaglie dell’avvenire 61 […].
Voi non troverete probabilmente nei miei discorsi né quella ricca suppellettile d’erudizione, che facilmente illude, e troppo facilmente s’acquista, né quel fare solenne e quasi apostolico che con tanta leggerezza si assume e si vuol sostenere con tanta serietà. Vi parlerò franco e sincero, smetterò, se è possibile, tutto ciò che possa sentir di didattico e di precettivo; non pretenderò d’insegnarvi l’Arte, ma spero però di farvela amare62.
In mancanza di documenti che ci informino sul programma adottato da Rapisardi per l’insegnamento di letteratura italiana al liceo Spedalieri, è indicativa delle sue preferenze la lettera in cui commenta il programma che l’amico Settimio Cipolla stilò quando, qualche anno dopo Rapisardi, si accingeva a intraprendere le sue lezioni presso lo stesso liceo63. La lettera risale al 30 ottobre 1880:
Caro Settimio,
Il vostro programma è degno di voi. Approvo e caldeggerei all’occorrenza il vostro concetto sull’insegnamento della storia letteraria a ritroso, che corrisponde bene ai principi di un insegnamento scientifico positivo. Non approvo affatto la scelta del Leopardi come libro di testo nella prima classe; primo, perché giovani affatto digiuni di ogni nozione filosofica non possono, malgrado qualsiasi spiegazione e commento, comprendere quell’altissima poesia; secondo, perché voi, che tanto badate all’educazione del cuore e alla formazione del carattere, dovreste accorgervi non essere prudente instillar nell’animo di giovani inesperti della vita il funesto veleno di quella disperatissima filosofia.
I giovani devono amare la vita, non disprezzarla prima di conoscerla; credere agli ideali dell’umanità e avventarsi animosi alla conquista di essi; non voltare ad essi le spalle e accasciarsi dove che sia dubitando e maledicendo.
La poesia di quel grande ammalato è degna di tanta ammirazione quanto l’animo di lui è degno di compianto; ma essa è perniciosissima per gli effetti che può produrre nell’animo dei giovani e che non sono diversi alla fine di quelli prodotti dall’ascetismo platonico cristiano.
Lodo la scelta dei classici per la 2a e la 3 a classe; ma vorrei sapere del Galilei che opera dareste: il «Saggiatore» che è la più agevole, sarà pure un osso ben duro per la materia astronomica e matematica, la quale i giovani intenderanno poco né potranno studiare senza molti sbadigli. Non potreste scegliere invece i «dialoghi» del Tasso? E nella 1a classe invece del Leopardi non potreste dare il Parini? Non dimenticate in ogni modo il 1° volume dei «Miei ricordi» modello raro di prosa schietta ed artistica.
Gradite intanto le congratulazioni e i saluti cordiali del vostro…64.
Fondamentale era per Rapisardi il ruolo che la scuola avrebbe potuto svolgere per il progresso della nazione: «per fare gl’Italiani» − scrive in una lettera a Grassi-Bertazzi il 10 luglio 1909 − «bisogna rifare la scuola», convinto che «molti mali che travagliano la vita sociale contemporanea dipendono principalmente dal dissidio fra il pensiero e l’azione, fra la scuola e la vita»65. Egli più volte critica l’insegnamento vuoto, retorico e nozionistico che, a suo dire, predomina nel periodo a lui contemporaneo:
Io credo mio principale dovere proseguire il mio non troppo agevole istituto di rivolgere il nostro insegnamento all’educazione dell’animo, alla formazione di quel carattere morale onde tutti in Italia lamentano il disfacimento, senza badare che una delle precise cagioni di questo è da ricercarsi nel metodo stesso degli studi, magnificato come storico e positivo e realistico, ma grettamente adoperato e spesso frainteso in modo che, invece di addentrarci nella conoscenza reale delle cose, dalla realtà e dalle manifestazioni tutte della vita nella natura e nella storia, stolidamente ci abbandona, ci segrega quasi e ci scinde dalla vita stessa per farci smarrire nei labirinti filologici e grammaticali, dove qualunque intelletto, senza il filo di Arianna di una generosa filosofia, miseramente si perde.
Si grida, si sbraita da tutte le parti realismo, positivismo, naturalismo; si svergogna l’Italia con la maligna e interessata querimonia sul decadimento dei nostri studi, e non ci si vuole accorgere che per essere realisti e positivisti e naturalisti bisogna accostarsi anzitutto alla realtà, alla natura, alla vita; e non si vuol capire che per rialzare gli studi bisogna prima d’ogni cosa rialzare gli animi, nobilitare i caratteri, armonizzare l’istruzione e l’educazione, far dell’insegnamento e dell’arte e dell’opera degli scrittori una missione e un apostolato di moralità, di civiltà, di umanità.
Ma quale utilità morale potete voi cavare da un insegnamento che non vi dà altro che una serie di notizie, siano anche esatte e nuove e pazientemente cercate e diligentemente ordinate, senza mai farci entrare nelle ragioni onde un monumento letterario, come produzione dell’ingegno in un dato periodo e in un dato paese, è strettamente legato alle condizioni di quella data civiltà?66.
La sua permanenza allo Spedalieri era cessata alla fine dell’anno scolastico 1874/1875, quando aveva ottenuto la promozione a straordinario67 di letteratura italiana all’Università di Catania e il ruolo di incaricato di letteratura latina68.
Lo sostituì Raffaele Bonari69, alunno prediletto di Francesco De Sanctis, a cui successe nel 1880 il già citato Settimio Cipolla. Questi, nato a Taormina il 21 agosto 1852, orfano del padre e povero fin dalla fanciullezza, aveva intrapreso con fatica gli studi e cominciato la sua carriera scolastica da insegnante primario; poi, compiuti gli studi superiori, aveva concorso per l’insegnamento nei licei70, ottenendo la cattedra di letteratura italiana allo Spedalieri. Dopo appena due anni di magistero fu trasferito al liceo di Lucera71, nonostante avesse fatto istanza al Ministro per evitare il cambiamento di sede, istanza peraltro appoggiata dal Prefetto con una lettera oggi conservata presso l’Archivio di Stato di Catania72. Il Prefetto fa notare le difficoltà economiche e quelle fisiche del Cipolla (mutilato della gamba destra), difficoltà che rendevano necessaria la sua permanenza a Catania dove potevano essergli di aiuto la madre e le sorelle. Il Ministro rispose di non poter accordare la sua richiesta di non trasferimento di sede, nonostante stimasse il professore Cipolla, stima confermata dalla concessione di una promozione73.
Vicino al pensiero di Rapisardi, Cipolla riteneva che «il fine supremo della scuola [fosse; sc.] quello di formare nello studioso un carattere» per cui fondamentale era per lui spingere l’allievo all’analisi critica senza imporgli verità prestabilite: gli studi devono insegnare all’uomo quello che è e il posto che occupa nell’universo. Una chiara concezione positivista espresse nel discorso Ai giovani del liceo Spedalieri tenuto in occasione della distribuzione delle licenze d’onore nell’anno scolastico 1880/1881. Elogiando le nuove riforme per la scuola che tendevano alla laicità e a concedere più spazio alle discipline scientifiche, condanna nell’educazione del passato (recente passato) la presenza dell’elemento ascetico, gesuitico e accademico-arcadico. Quest’ultimo elemento aveva determinato negli studi classici il predominio della forma e della retorica, e non era ancora – afferma Cipolla – «del tutto estirpato dalle nostre terre»:
Il giorno in cui l’Italia destossi, con quel grido memorando di riscossa che partì dalle nostre spiagge, e fu dagl’Italiani compiuta l’opera più meravigliosa che ricordi la storia, quel nuovo spirito che rianimò la nazione fece anche rinascere la scuola. Ciò che da quel tempo s’è fatto per la pubblica istruzione, non occorre, o giovani, che io ve lo ricordi, essendo voi stati educati col nuovo sistema di studi; ma non posso però tacere che il fine supremo della scuola, qual è quello dell’educazione e della formazione di un popolo, fu in gran parte e per molto tempo trascurato. Di ciò che al presente si fa […] [altro non posso fare che; sc.] manifestare la più sincera e profonda ammirazione per le nuove istituzioni e riforme scolastiche […].
Dando però un rapido sguardo all’opera degli anni trascorsi, parmi che un’educazione veramente liberale, consentanea ai principi della scienza e alle tradizioni della nostra storia, avrebbe dovuto sin dai primi anni estirpare dal cuore d’Italia le spine dell’ascetismo cristiano, del gesuitesimo cattolico e della vanità arcadica. Avrebbe dovuto pensare che la scuola non può avere attinenza alcuna con la Chiesa, e tanto meno poi la scuola italiana; imperocché da Arnaldo da Brescia ai valorosi poeti e filosofi moderni, il pensiero italiano non ha fatto che lottare costantemente contro i principi della Chiesa romana. Un’educazione positiva, libera da arcadicherie e da frasche accademiche, avrebbe dovuto pensare che la parte meccanica e retorica degli studi classici, per cui, al dire d’un illustre italiano, l’antichità ha predominato nelle nostre scuole come forma e non come idea; altro non è che un rimasuglio dell’educazione gesuitica e arcadica, la quale separava assolutamente il pensiero dalla forma, e nulla sapea del moderno rinascimento. A ravvivare gli studi classici, si sarebbe dovuto principalmente mostrare alla mente dei giovani la continuità del pensiero umano, facendo loro comprendere come il mondo moderno nasca dall’antico, e non ad esso si sovrapponga quale il vivo al morto; trasportando al possibile il loro spirito nell’ambiente della vita greco-latina, in quella religione, in quei costumi, fra le vie e i monumenti di Atene e di Roma; facendo infine imparare le lingue classiche come viva manifestazione di pensieri e di sentimenti lor noti.
Gli studi scientifici, liberati da tante reticenze e timidezze, insieme coll’educazione delle facoltà intellettuali, avrebbero dovuto proporsi con maggior chiarezza il fine di dare un esatto concetto della natura e della storia; ed esponendo quelle teorie che mostrano l’uomo come il prodotto di una lunga evoluzione naturale e storica, metterle a fronte delle dottrine teologiche, lasciando che la mente stessa e l’animo del giovane maturassero in sé le cognizioni apprese, e s’aprissero una via nel vero.
Con l’istessa serenità scientifica e imparzialità positivista si sarebbe potuto far conoscere come dalla scienza, libera da ogni sorta di opinioni teologiche, nasca una nuova legge morale; secondo la quale i doveri e i diritti dell’uomo derivano dalla conoscenza stessa del posto che egli occupa nella natura.
Ma le nostre scuole cominciarono invece coll’imporre il catechismo romano all’infanzia e il direttore spirituale alla gioventù dei licei; e mantennero pur sempre nell’insegnamento quel vecchio concetto teologico, per cui in ogni fatto della natura viene mostrata la mano del sovrannaturale, e in tutto il corso della storia quella della Provvidenza […].
Cotali profonde antimonie vanno ora fortunatamente poco a poco scomparendo; e la istituzione della palestra ginnastica sostituita ai vecchi esercizi spirituali, lo sbandamento della istruzione religiosa, o propriamente del catechismo romano, e più di tutto l’aura di libertà che comincia a penetrare nella scuola […] tutto ciò promette un avvenire più lieto e sorridente.
Le riforme che ora si vanno compiendo nella pubblica istruzione, mostrano un savio avviamento scientifico74.
Occorre secondo Cipolla rivalutare il pensiero degli scrittori greci e latini riprendendone in particolare «l’antico sentimento della natura» e il concetto dell’unità delle facoltà umane contro il dispregio in cui il Cristianesimo ha tenuto per secoli l’aspetto materiale dell’uomo:
il falso concetto del mondo su cui il Cristianesimo fondò tutta la sua dottrina, disperdendo i principi scientifici già nati nella scuola epicurea e luminosamente esposti da Lucrezio, l’ascetismo in cui profondò il mondo cristiano, il falso ideale della vita; furono causa di vero e grave decadimento, a cui noi dobbiamo principalmente la fiacchezza dei secoli posteriori alla cultura greco-latina75.
Il pensiero positivista non influenzò solo la sua concezione dell’educazione e del modo d’intendere l’insegnamento della letteratura italiana, ma anche il metodo didattico adottato. Nell’opuscolo L’educazione scientifica nelle scuole primarie76 critica il metodo tradizionale basato sull’apprendimento di precetti e regole e promuove il metodo galileiano basato sull’osservazione:
L’insegnamento delle regole isolate non può dare che un’istruzione empirica, la quale se ne va con la stessa facilità con cui è venuta. Quel che ci vuole è l’attitudine a pensare, la conoscenza dei fatti, la potenza del saper dedurre i principi e le regole dalle osservazioni. Il metodo di quei nostri insegnanti che si studiano di somministrare a pillole la scienza mediante dei sunti e suntarelli, non fa che affievolire e annichilire le facoltà intellettuali degli alunni […]. La natura non dà che dei fatti, e il metodo che vuol tenerle dietro, bisogna si parta da essi. La regola è l’ultimo risultato cui la mente perviene dopo un lungo viaggio77.
Dalla già citata lettera in cui Rapisardi commenta il programma per il liceo stilato da Cipolla, si evince inoltre che egli adottò un innovativo metodo d’insegnamento della letteratura italiana definito «della storia letteraria a ritroso», metodo che − dice lo stesso Rapisardi − «corrisponde bene ai principi di un insegnamento scientifico positivo»78. Basato su uno studio degli scrittori che segue l’ordine cronologico inverso esso sarà adottato, qualche anno dopo anche dai professori Orazio Bacci e Alessandro D’Ancona, i quali spiegano, nella Prefazione al Manuale della Letteratura Italiana compilato nel 1892, che questo sistema ha il vantaggio di far giungere gli studenti allo studio degli autori più antichi al terzo liceo, quando possiedono «maggiore apertura di mente e saldezza di giudizio». Mentre alle prime classi è riservato lo studio di scrittori meno ostici, perché più vicini, per pensiero e lingua, ai moderni79.
Come si è già accennato precedentemente, nonostante il governo italiano avesse voluto attribuire all’istruzione classica un impianto prevalentemente linguistico-letterario che permarrà per tutto l’Ottocento, nel corso della seconda metà del secolo esso tenderà in parte a estendere lo spazio concesso allo studio delle scienze fisiche, introducendo ad esempio materie supplementari come la storia naturale nei ginnasi e la geografia fisica nei licei80. Questo parziale orientamento scientifico dei programmi scolastici avrà inizio tra gli anni Settanta e Ottanta quando i rapidi progressi della scienza e i successi della società tecnologica condizioneranno in modo più evidente tutta la cultura italiana, fino a influenzare, come abbiamo già visto, anche l’apprendimento delle discipline umanistiche81.
La ricerca scientifica, per la quale, per i motivi esposti, si nutriva un interesse particolarmente vivo in quegli anni in Italia come in Europa, aveva a Catania le sue maggiori istituzioni nell’Università e nell’Accademia Gioenia di scienze naturali. Quest’ultima, nata nel 1824 «per promuovere ricerche di storia naturale con speciale riguardo alla Sicilia», dava un contributo non indifferente all’accrescimento del sapere scientifico e poneva Catania al passo con l’Italia e con l’estero, pur occupandosi prevalentemente (ma non esclusivamente) della realtà locale che intendeva valorizzare. È da sottolineare poi, che tra le due istituzioni citate esisteva un rapporto di collaborazione considerato che la strumentazione del gabinetto di fisica come molti dei materiali zoologici e geologici di cui disponeva l’Università erano di proprietà o provenivano da donazioni dei soci dell’Accademia e che un numero rilevante di questi ultimi era impegnato nelle attività istituzionali dell’Università stessa82.
Come era inserito il Liceo Spedalieri in questo contesto culturale? Si può certamente affermare che non ne era estraneo. Attraverso le ricerche effettuate è stato possibile accertare infatti che alcuni dei docenti di storia naturale e di fisica del liceo catanese appartenevano all’ambiente universitario, in qualità di insegnanti o di ricercatori e altri, in numero rilevante, erano soci attivi o onorari dell’Accademia Gioenia per conto della quale realizzarono studi scientifici ancora oggi consultabili grazie ai resoconti che ne vennero pubblicati negli «atti» o nel «giornale del gabinetto letterario» dell’Accademia.
L’importanza che al liceo Spedalieri veniva attribuita alle discipline scientifiche è già significativa fin dal primo anno di attività, come si evince dalla già citata prolusione pronunciata in occasione dell’apertura dell’istituto dal Preside Zanghì, anch’egli socio attivo dell’Accademia Gioenia. Questi, nell’illustrare gli argomenti principali oggetto dell’insegnamento affrontato dal docente di ciascuna materia, si sofferma ampiamente sulle materie scientifiche di cui esalta l’utilità con particolare riguardo alla storia naturale:
Scienza mercè la quale, al dire di Milne Edwards, il grande ed armonico spettacolo della natura svelandoci quanto il bello reale della creazione prevalga al bello ideale delle umane, sublima l’anima ed abilita lo spirito a pensieri alti e salutari. Conviene mettere innanzi ai giovani, diceva Buffon la Storia naturale, e appunto in quel tempo, in cui la ragione comincia a svilupparsi, in quell’età in cui potrebbero incominciare a credere di essere molto dotti, nulla è più capace di abbassare il loro amor proprio, e di far loro sentire di quante cose siano ignoranti; e indipendentemente di questo primo effetto il quale non può essere altro che utile; uno studio anche leggiero della storia naturale solleverà le loro idee, e farà loro conoscere un’infinità di cose che s’ignorano dal comune degli uomini, e che nel vivere vengono sovente in uso.
A far pago il voto dell’illustre naturalista seguito in ciò da altri sommi moderni, che vogliono oramai dar posto alla storia naturale tra gli elementi di ogni vera ed utile educazione, nel nostro Stabilimento il professore addetto, cominciando dalla Geologia presenterà dapprima il nostro globo con l’immensa massa fluida trasparente ed elastica che lo circonda sino all’altezza massima di 80 chilometri e con le acque che ne coprono i due terzi della superficie, noterà i costituenti dell’una e delle altre, e studierà la struttura e la formazione della scorza del globo entrando nella geognosia e nella geogonia; passando alla anorganologia parlerà delle principali sostanze brute e della varia loro maniera di esistere in natura; e venendo quindi alla scienza degli esseri viventi, data la definizione di essi, e cennati gli elementi predominanti in quei composti, ne farà conoscere l’origine e l’accrescimento ventilando le questioni dell’eterogenia, farà assistere l’alunno attonito al procedimento delle piante e degli animali dalla cellula primitiva al completo sviluppo dell’organismo vivente, e classificherà infine le prime e i secondi.
È incumbenza del professore di Fisica Chimica e astronomia elementare trattenere il giovanetto alle medesime meraviglie nella disamina dei fenomeni che presentansi nelle molecole integranti de’ corpi semplice, nelle costituenti de’ composti, nelle masse planetarie. Qui inerzia e forza, o meglio equilibrio e moto nei solidi nei liquidi e ne’ gas, e fenomeni che ne dipendono; qui elenco de’ corpi elementari, loro precipue combinazioni, nomenclatura chimica, e poi varie modificazioni della materia eterea, calorico elettricità e luce con le scoverte e le invenzioni relative; qui oltre alla conoscenza della sfera celeste e del moto doppio della terra donde emergono le variazioni delle stagioni e dei giorni, studio addentellato per la Geografia, si noteranno le diverse specie dei corpi celesti, e dei loro movimenti; si appresteranno in somma le prime nozioni di quella mirabile scienza, direi, rifatta da tre arditi ingegni Copernico, Galileo e Newton, che le fecero percorrere tre grandi fasi, dell’ordinamento, delle funzioni, e della vita.
Se non che, non può leggersi, correttamente nel gran libro della natura senza prima appararne i caratteri in cui sta scritto, e che sono circoli triangoli ed altre figure di Geometria: Characteres ejus, diceva un sommo, sunt circuli triangula et aliae figurae geometricae. Laonde trovasi indispensabile l’insegnamento della scienza del calcolo. Non mi si accagionerà di paralogismo per conclusione più estesa delle premesse, ponendo mente alle relazioni delle quantità continue con le quantità discrete, e al modo analitico di trattar le prime con le formole algebriche sostituite alle figure, considerando di più come sieno zeppe delle medesime formole le pagine di un libro elementare di fisica, e quanto la chimica stessa, dacché Richter v’introdusse il rigore dell’espressione matematica, quanto, dico, vada anch’essa debitrice al calcolo riguardo la bella dottrina delle proporzioni definite o multiple, per cui il ragionamento suggerisce nuove scoverte, che poscia si fanno per induzione, e ricordando in fine che ad ogni fisica scoperta si applica la scienza delle quantità, crescendo sempre in tal modo il numero delle matematiche miste, come Bacone lo avvertiva con quella sagacità, che gli facea prevedere la sorte avvenire delle umane conoscenze […].
La scienza del calcolo rende il giovanetto avvezzo alla meditazione, e così lo pone nello stato di meglio conoscersi, gli fa provare il bisogno della certezza, e così lo impegna alla critica, finalmente gli somministra il metodo analitico che ci mostra il principio ed i limiti delle nostre conoscenze, e che, a detta del Cousin, à dato un carattere specifico alle moderne scuole filosofiche. È fuori dubbio altronde che siamo debitori alle matematiche del buon metodo, della chiarezza e della precisione che, come osserva il Pollin, da un certo tempo in qua si veggono nelle buone opere, e che l’algebra e la teoria delle serie ànno sublimato la mente ai più astratti ed intellettuali concepimenti […]. Per tanta importanza la scienza per antonomasia, à un posto distinto nel nostro Ateneo. Ricevuti nella sezione inferiore di esso ossia nel Ginnasio i rudimenti di aritmetica sino alla teoria de’ rapporti e delle proporzioni, con applicazione al sistema metrico, si passa nella sezione superiore ossia nel Liceo a udire lezioni d’algebra, cioè della restaurazione e del compimento dell’aritmetica […], quindi si viene alla geometria (che suona misura della terra, poiché questa scienza la prima volta fu usata dagli Egizi nel bisogno di ristabilire i limiti de’ campi confusi per le inondazioni del Nilo); e finalmente alla trigonometria parte dell’antecedente, che si volge alle misure de’ triangoli, ovvero a trovare le parti incognite di essi per via di quelle che si ànno.
Con le discipline sinora accennate l’alunno acquista una somma considerevole di verità riguardo a se stesso ed agli esseri che gli stanno intorno, e riceve multiplici elementi su cui può e deve spiegare l’energia del suo intelletto e della sua ragione, che trasformano e si assimilano i dati della sensibilità, potenza al par di essi conoscitiva di apprendimento83.
L’insegnamento della Storia naturale fu affidato per il primo anno scolastico a Salvatore Biondi Giunti che lo mantenne fino al 1864, mentre esercitava contemporaneamente la professione di Chirurgo primario del sifilicomio di Catania84. Nato nel capoluogo etneo nel 1829, aveva studiato Medicina presso l’Università della sua città specializzandosi con successo in Chirurgia e facendo «giovinetto ancora le prime e più alte operazioni». Si era dedicato successivamente alle scienze naturali accrescendo con varie scoperte le conoscenze scientifiche in campo zoologico. Per questi meriti era stato chiamato dall’Accademia Gioenia come socio attivo e da altre accademie come socio corrispondente85. Era stato a Catania uno dei promotori della rivolta antiborbonica. Subito dopo fu chiamato come insegnante di storia naturale presso il neo-istituito liceo Spedalieri86. Di questo esordio si conserva la prolusione con la quale aprì l’anno scolastico: Sull’utilità dello studio della storia naturale, in cui esalta il beneficio morale derivante dall’apprendimento della materia che insegna:
La contemplazione dei segreti arcani della natura, la conoscenza dei costumi, dell’indole, dell’ufficio degli esseri organizzati ed inorganici e della importanza che hanno questi esseri relativamente all’insieme del globo terraqueo, e d’una specie ad un’altra, non piccola luce sparge nello spirito e nell’intelletto umano, e lo studio della natura e delle leggi cosmologiche, mentre ci spiega fenomeni che senza queste conoscenze sarebbero stati incomprensibili, sommamente ci diletta, c’istruisce insieme, ed infallibilmente ci conduce al miglioramento sociale, e moralizzamento della specie umana; come ben faceva rilevare giorni sono il nostro insigne Preside. E quantunque evvi del favoloso in molte virtù ed esempi morali d’animali, pure la favola istessa simboleggiata poeticamente negli animali, di non poca utilità si rende per condurre alla morale la vergine mente dei giovanetti87.
La storia naturale ha per Biondi anche un’utilità pratica da cui trae giovamento tutta la società:
Se ci facciamo a considerare ed esaminare l’utile, che apportano l’insieme di quelle scienze, che dandosi scambievolmente la mano; costituiscono la Storia Naturale questa bella parte dello scibile umano; vedremo a chiare note il miglioramento progressivo del secolo in cui viviamo, esser dovuto in gran parte ai progressi delle naturali scienze. Quante idee superstiziose non ha dal volgo messo in bando la meccanica celeste, onde tanti vantaggi ne ha ricavato il marino, il geografo, il geologo ed altri: determinando mercè la conoscenza della sfera celeste, i varii punti del mare e della terra?
Quanto al miglioramento dell’agricoltura non hanno giovato la meteorologia e la chimica? […].
Tutto ciò che ho detto della chimica, può dirsi della fisica, senza la quale non possono intendersi i fenomeni e le leggi che governano tutti i corpi in generale88.
Biondi elenca i benefici delle scienze naturali cominciando dalla meccanica celeste, e passando poi alla meteorologia, alla chimica, alla fisica, alla geologia, e alla botanica per arrivare infine alla zoologia:
Non meno interessante, non manco utile, è lo studio della Zoologia, o degli animali che popolano la superficie della terra, e l’acque dei mari, dei fiumi e dei laghi. Per l’assiduo e profondo studio di essa l’uomo giunge a sapere il loro sterminato numero, e dei meglio noti conoscerne la forma, l’indole, il costume e l’utile che si può trarre del loro servigio, dal sapore delle loro carni, dalla morbidezza delle loro pelli, dalla bellezza e splendore delle loro penne, dall’armonia della voce, e cento altre cose89.
Passa allora a elencare una serie di animali sottolineandone l’utilità che hanno per l’uomo, dal cavallo all’elefante al cane agli uccelli ai rettili ai pesci ai crostacei. Pur nella varietà dei suoi interessi scientifici, infatti la zoologia e in particolare lo studio dei fossili furono il suo principale campo di ricerca. Ne è frutto, tra le altre cose, la sua Monografia del genere brocchia90. Si tratta di uno studio sulle diverse specie di questo genere di conchiglie, specie mai riconosciute da alcuno studioso se non in parte da Andrea Aradas, illustre zoologo dell’Università e dell’Accademia Gioenia:
Da più tempo maneggiando dei fossili mi avvedeva che fra le brocchie, di cui è scopo in questa scritta, vi erano delle differenze, che a più specie potevano far dipartire i miei esemplari: non sicuro però delle conosciute nel mondo scientifico desistevo dall’idea di renderle di pubblica ragione, quindi lasciavo scorrere gli anni senza seriamente occuparmene, ma sempre vagheggiando il pensiero di chiarire quante specie se ne conoscevano.
In effetti con l’acquisto di altre opere, e visitando varie raccolte della nostra penisola e della Francia, mi dovetti convincere che se ne conoscevano due sole specie, comunemente anzi una sola, e con mia sorpresa non si sapevano ancora quelle pubblicate dal Professore Aradas. Allora senza più indugiare ammanii la presente monografia che lessi nella nostra Accademia il dì 8 gennaro 186391.
A Biondi si deve anche la fondazione del gabinetto di zoologia dello Spedalieri. Allestito nei primi anni Sessanta, era «ricchissimo per svariate e rare specie di conchiglie e di preziosi oggetti minerali»92.
Nel 1865 dopo soli quattro anni di docenza, Biondi dovette ritirarsi a vita privata a causa di una grave malattia. Tra il 1865 e il 1869 la cattedra di storia naturale del liceo catanese fu affidata a Ferdinando Aradas. Come Biondi anche Aradas aveva sposato in età giovanile la causa della libertà partecipando agli eventi del 1860. Dottore in Medicina, dopo la cacciata dei Borboni si era dedicato in particolare allo studio nel campo delle scienze naturali e nel 1864/1865 aveva accettato l’incarico di docente di scienze naturali nella R. Scuola tecnica di Catania: «l’ufficio era modesto; ma egli, sapendo dare alle sue lezioni un interesse particolare; allontanare le dotte discussioni per occuparsi di cose pratiche e utili, conciliare la parte teorica colle applicazioni, giunse in breve tempo a porre in tanta evidenza l’importanza del suo insegnamento, che il Municipio non esitò a metter a sua disposizione una cospicua somma per l’acquisto di un conveniente materiale scientifico»93. Ma già l’anno successivo venne chiamato come docente presso lo Spedalieri, impegnato nel frattempo sul fronte scolastico anche in qualità di assessore delegato all’Istruzione94 e successivamente di membro del Consiglio Provinciale Scolastico. Poco dopo aver intrapreso la sua attività al Liceo fu nominato socio attivo dell’Accademia Gioenia, anche in questo caso in sostituzione dello scomparso Biondi, ricevendo anche l’incarico di direttore del giornale del gabinetto letterario dell’Accademia. Continuava nel frattempo ad approfondire i suoi studi «lavorando nel gabinetto di Fisica delle scuole tecniche ed in quello ricchissimo di Storia Naturale nel Liceo, [e partecipando; sc.] alle pubbliche lezioni date per più mesi dal chiarissimo professore sig. O. Silvestri su varie materie relative alla Fisica e Chimica»95.
Gli studi di Aradas erano prevalentemente orientati verso la geologia e la vulcanologia, come mostra il suo lavoro su Le cause delle eruzioni vulcaniche e dei terremoti che Giovanni Adamo Boltshauser, docente di fisica e poi Preside dello Spedalieri, definisce «la più importante delle sue pubblicazioni scientifiche»96.
Particolarmente attento ad applicare alle sue ricerche il metodo scientifico fondato sull’osservazione, si preoccupava di difenderlo e divulgarlo a dispetto della cultura teorica che era ancora molto diffusa in Italia, e solo in quegli anni cominciava − a suo dire − a essere soppiantata dall’indagine scientifica fondata sull’esperienza. A questo proposito è esplicativo il discorso che pronunciò in occasione dell’apertura dell’anno scolastico 1864/1865 nella R. scuola tecnica dove era appena stato chiamato ad insegnare: «i fatti sono il materiale, le teorie rappresentano l’opera intelligente che presiede alla loro coordinazione», il metodo scientifico si fonda sull’utilizzo di entrambi:
La preferenza accordata in vari tempi, a taluni dei nostri mezzi d’indagine, a scapito degli altri, ha potentemente influito sul progresso della scienza. Dando alle facoltà dello spirito ed ai loro prodotti un valore superlativo, negando ogni mezzo alle rivelazioni dei sensi, le più strane ubbie, i più arditi supposti ebber fama di cose reali […].
Vi volle tutta la forza del genio di Galileo, immortale restauratore di quella scuola che il filosofo di Samo fondò in questa terra degli Empedocli, degli Archimedi, dei Vinci e di molti altri atletici ingegni, per rovesciare dalle fondamenta l’edificio aristotelico.
Un nuovo campo si aperse allora agli studi. Base di ogni fisica investigazione l’esperienza, essa fu, in virtù di un processo così semplice come fecondo in utili risultamenti, innestata alle operazioni dello spirito. Mirabile accordo del fatto con l’idea, a cui dobbiamo una parte dei misteri dei cieli e che con incessante lavoro tende a strappare alla natura ciascuno dei suoi secreti!
Se non che, i pregiudizi rinascenti, da un canto, e l’intemperanza di taluni spiriti propensi troppo al filosofare; il timore esagerato, dall’altro, di ricadere negli errori del passato col ricorrere frequentemente allo strumento del pensiero, in diverso senso operando, han nociuto allo avanzamento della scienza, in guisa che non può sembrare inutil cosa il chiamare talvolta l’attenzione sullo stretto vincolo con cui nella ricerca del vero naturale devono procedere l’opera dei sensi e quella dello spirito97.
Conclude il discorso accennando al suo nuovo ruolo di docente che intende intraprendere applicando nell’insegnamento quanto detto finora, ovvero l’utilizzo inscindibile di esperienza e teoria:
Preoccupato dall’idea dei doveri impostimi dalla mia nuova condizione d’insegnante intesi ad ordinare le mie idee secondo il fine che mi parve migliore. Fossi almen riuscito in quest’opera, vi domanderei mercè con animo più tranquillo, perché ogni buon esito degli sforzi che mirano ad istruir la gioventù, è un beneficio di cui tutti indistintamente dobbiamo rallegrarci. L’avvenire del nostro paese dipende dal buon avviamento degli studi ed è sulle menti vergini soprattutto che bisogna agir con destrezza insinuandovi il gusto per la scienza e destando quella scintilla che sotto il sole d’Italia divampa sì facilmente.
E a ciò, signori, non si giunge, a mio credere, col cattivare i sensi soltanto dei giovani, né coll’incoraggiarne la fantasia, d’ordinario sbrigliata troppo, ma con alternare le esperienze alle spiegazioni teoretiche, sempre in ordine al metodo che dev’essere il loro principale acquisto.
Se il buon volere a qualche cosa vale, nessuno ne ha più di me, o signori. Le mie meschine facoltà e gli studi (ahimè troppo interrotti) saranno spesi nel procacciare il maggior bene agli allievi che mi sono stati affidati98.
Di Aradas ci è pervenuto anche uno scritto legato alla sua attività presso lo Spedalieri: l’Elogio del Cav. Giuseppe Gioeni, illustre vulcanologo, pronunciato in occasione dell’annuale festa letteraria liceale durante la quale si era soliti celebrare un personaggio italiano di rilievo culturale, storico o politico. La scelta di Gioeni è così spiegata da Aradas: «furono motivi che mi determinarono pel Gioeni la natura dei suoi studi, quei medesimi nei quali vado esercitandomi e l’aver con lui a comune luogo nativo queste mura»99. Di lui Aradas esalta l’ingegno, l’impegno nello studio, le opere e accenna anche al sodalizio nato sotto il suo nome, l’istituzione dell’Accademia omonima: «Osservate un fatto che cade quasi sotto i vostri sguardi. Poco dopo la sua morte un pugno di dotti si unisce, si affratella, le idee son messe in comune, i frutti delle ricerche individuali si assommano, un’accademia si forma sotto il patrocinio del suo nome e prende ad illustrare il monte che fu oggetto caro dei suoi studii, e questa società, fatta adulta, continua al presente i suoi lavori rigogliosa e gareggiante con le principali d’Italia»100. Aradas scomparve nel 1869.
Successivamente la cattedra di storia naturale fu occupata per diversi anni (1871-1885) da Giuseppe Pulvirenti. Non molte le notizie che possediamo su di lui. Sappiamo che insegnò anche presso la scuola tecnica di Catania e che nonostante il suo incarico di docente di storia naturale la chimica fu il suo principale campo di studio. Dagli annuari dell’Università di Catania egli risulta tra il 1864/1865 e il 1875/1876 «preparatore» presso il laboratorio di Chimica e presso la scuola farmaceutica dove collaborava con Orazio Silvestri, direttore del laboratorio ed esponente di spicco dell’Università e dell’Accademia Gioenia. A questo proposito possediamo il resoconto di una delle ricerche frutto di questa collaborazione, pubblicato negli Atti dell’Accademia: Ricerche chimiche per servire allo studio dei vini della Sicilia, fatte nel laboratorio di chimica della R. Università di Catania sotto la direzione del prof. Orazio Silvestri. In esso Pulvirenti presenta i risultati delle ricerche chimiche condotte «per mettere in maggiore evidenza le proprietà dei nostri vini» allo scopo di «contribuire fin d’ora ad arrecare materiali e cognizioni che potranno in avvenire riuscire di grande vantaggio per fare prosperare una industria che si trova tra noi in mezzo agli elementi e condizioni più favorevoli»101.
Non si può infine trascurare la figura di Giovanni Adamo Boltshauser, significativamente presente allo Spedalieri nel periodo considerato, in quanto docente di fisica negli anni Sessanta dell’Ottocento e successivamente Preside dell’istituto (1870/1871-1881/1882). Personalità di rilievo nella vita culturale catanese, egli fu dapprima (dal gennaio 1868) socio corrispondente e poi socio attivo dell’Accademia Gioenia (dal 1873), in sostituzione dello scomparso Ferdinando Aradas. Fu inoltre, tra il 1868/1869 e il 1874/1875, professore incaricato di Fisica all’Università di Catania nella facoltà di Medicina e Chirurgia e in quella di Scienze fisiche, matematiche e naturali e per gli stessi anni Direttore incaricato del Gabinetto di Fisica e dell’Osservatorio meteorologico sempre presso l’Università di Catania.
Da quest’ultima carica e dalla natura delle sue numerose pubblicazioni, in gran parte pubblicate negli atti dell’Accademia Gioenia, risulta chiaro il suo prevalente interesse per gli studi meteorologici. Molte le sue relazioni sulle osservazioni meteorologiche fatte nell’Università, lette durante le adunanze dei soci accademici. Parziali risultati di queste osservazioni espose poi nell’opuscolo Formole meteorologiche in cui, prima di entrare nel merito dell’argomento, riassume lo stato degli studi di meteorologia al suo tempo:
Non si può negare, che nell’ora decorso decennio la meteorologia sia assai meno progredita di quanto si credette poter aspettare da una rete di osservatorii estesa su quasi l’intiera superficie d’Europa, e da un apposito servizio telegrafico, per mezzo del quale le relative osservazioni sono giornalmente riunite in pochi grandi centri per esservi paragonate e discusse. Ciò spiega, perché non sono ancora cessate certe voci già altra volta compromettenti le accennate osservazioni, cioè non poter queste condurci a considerazioni di qualche importanza, ed ancor meno alla conoscenza delle leggi, che regolano le condizioni climatologiche d’una data contrada. Ma siccome la scienza nello stato attuale non saprebbe dimostrare cotesta asserzione né come fondata, né come falsa, quelle voci, piuttosto che indurci a discontinuare le osservazioni meteorologiche, debbono stimularci a perfezionare gli attuali metodi d’osservazione, di notazione e di discussione. Sono esse infatti, che mi hanno indotto ad occuparmi delle formole meteorologiche, che formano l’oggetto di questa breve nota.
Due sono gli scopi prefissi della meteorologia moderna: la determinazione dei diversi climi, che incontransi sulla superficie del globo, caratterizzandoli colle rispettive medie dell’altezza barometrica, della temperatura, dell’intensità e direzione del vento ecc., e la conoscenza delle relazioni che esse hanno tra loro e con conosciute forze fisiche […].
I fatti, adunque, dimostrano che l’attuale notazione meteorologica non è senza inconvenienti, e che a renderla più confacente al suo scopo è mestieri di semplificarla, se non nei registri meteorici, certamente negli estratti destinati alla stampa. Occupandomi di questo lavoro, or sono parecchi anni, fui condotto infine a comprendere in una formola tutti i risultati relativi ad una medesima ora d’osservazione in modo da avere, per ciascuno, il valore assoluto e di quanto esso differisce dalla rispettiva media mensile o annua102.
Del suo insegnamento all’Università accenna nel lavoro Lo sperimento di Foucault, in cui espone le modalità di svolgimento del detto esperimento realizzato nella chiesa degli ex padri benedettini per agevolare la spiegazione del moto rotatorio della terra agli allievi:
Condotto dal piano di studio, prefissomi nello scorso anno scolastico, per l’insegnamento della fisica nella R. Università di Catania, ad esporre la teoria del pendolo, stimai cosa utile, non meno che interessante, il far parola dello sperimento di Foucault, ed il dimostrare, come la deviazione del piano d’oscillazione d’un pendolo sia una immediata conseguenza del moto rotatorio della terra103.
In occasione della festa letteraria liceale del 1870 pronunciò un Elogio di Carlo Gemmellaro, in cui esalta il vulcanologo presentandolo agli allievi come esempio da seguire per il suo impegno nello studio, per il suo coraggio di fronte alla morte, per l’operosità, per la modestia e per il suo amore per la patria:
Benemeriti voi tutti, o cari giovani, se come lui voi amerete la patria, se anche voi saprete tradurre in opere quell’arcano affetto per la patria terra e per la melodiosa sua lingua, che destano in voi l’aspetto di questo bel cielo, i siti ridenti delle nostre campagne, lo specchio azzurro dei nostri mari e la memoria d’un glorioso passato104.
Boltshauser fu anche autore di un Trattato di geometria intuitiva, con il quale si propose di agevolare i principianti nell’apprendimento della geometria attraverso la sostituzione delle «troppo rigorose dimostrazioni dei trattati di geometria» con il metodo intuitivo105.
Dopo il 1882, anno in cui lasciò la Presidenza dello Spedalieri, non abbiamo più notizie di lui.
Personale docente del Liceo Ginnasio “N. Spedalieri” tra il 1861 e il 1887106 |
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Cognome |
Nome |
Materia |
Classi |
Anni scolastici in cui insegnarono presso l’istituto N. Spedalieri |
|
Primo anno per cui si ha notizia |
Ultimo anno per cui si ha notizia |
||||
Amore |
Carmelo |
Materie letterarie |
Ginnasio inferiore |
1861-62 |
1881-82 |
Aradas |
Ferdinando |
Storia naturale |
Liceo |
1867-68 |
1868-69 |
Bellasi |
Carlo |
Fisica e chimica |
Liceo |
1875-76 |
1877-78 |
Beritelli |
Giovanni |
Storia |
Liceo |
1861-62 |
1879-80 |
Biondi107 |
Salvatore |
Storia naturale |
Liceo |
1861-62 |
1861-62 |
Boltshauser |
Adamo |
Fisica |
Liceo |
1868-69 |
1868-69 |
Bonari |
Raffaele |
Lett.ital. |
Liceo |
1876-77 |
1878-79 |
Brentari |
Ottone |
Materie letterarie |
Ginnasio inferiore |
1877-78 |
1879-80 |
Bruno108 |
Salvatore |
Materie letterarie |
Ginnasio superiore e liceo |
1874-75 |
1884-85 |
Bustelli |
Giuseppe |
Lett.ital. |
Liceo |
1867-68 |
1868-69 |
Campanile |
Vincenzo |
Matematica |
Liceo |
1874-75 |
1875 |
Caporali |
Ettore |
Matematica |
Liceo |
1875-76 |
1875-76 |
Cattaneo |
Luigi |
Materie letterarie |
Ginnasio |
1877-78 |
1884-85 |
Cipolla |
Settimio |
Lett.ital. |
Liceo |
1880-81 |
1881-82 |
D’Addazio |
Vincenzo |
Latino e greco |
Liceo |
1874-75 |
1874-75 |
De Felice |
Francesco |
Filosofia e lett.ital. |
Liceo |
1861-62 |
1881-82 |
Decia |
Giovanni |
Latino e greco |
Liceo |
1876-77 |
1877 |
Drago |
Vincenzo |
Latino e greco |
Liceo |
1883-84 |
1884-85 |
Fenaroli |
Giuliano |
Lett.ital. |
Liceo |
1871-72 |
1871-72 |
Gambera |
Pietro |
Matematica |
Liceo |
1876-77 |
1881-82 |
Geremia |
Gioacchino |
Materie letterarie |
Ginnasio superiore |
1868-69 |
1874-75 |
Giorgi |
Tommaso |
Lett.ital. |
Liceo |
1875 |
1875 |
Guarnaccia |
Francesco |
Storia |
Liceo |
1881-82 |
1881-82 |
Guglielmini |
Giuseppe |
Materie letterarie |
Ginnasio |
1868-69 |
1874-75 |
Laganà |
Pietro |
Materie letterarie |
Ginnasio superiore |
1861-62 |
|
Lanzani109 |
Francesco |
Latino e greco |
Liceo |
1868-69 |
1872-73 |
Largajolli |
Dionigio |
Storia |
Liceo |
1875-76 |
1875-76 |
La Rosa |
Vincenzo |
Lett.ital. |
Liceo |
1861-62 |
1861-62 |
Lo Parco |
Luciano |
Lett.ital. |
Liceo |
1882-83 |
1884-85 |
Malanima |
Alfonso |
Materie letterarie |
Ginnasio superiore |
1875-76 |
1877-78 |
Palmieri |
Giovanni |
Fisica |
Liceo |
1878-79 |
1878-79 |
Pili |
Bonifacio |
Storia |
Liceo |
1880-81 |
1884-85 |
Pizzuto |
Pasquale |
Greco |
Liceo |
1883-84 |
1884-85 |
Pozzuolo |
Lorenzo |
Latino greco e filosofia |
Liceo |
1877-78 |
1884-85 |
Puglisi |
Salvatore |
Materie letterarie |
Ginnasio inferiore |
1868-69 |
1881-82 |
Pulvirenti |
Giuseppe |
Storia naturale |
Liceo |
1871-72 |
1884-85 |
Rapisardi |
Mario |
Lett.ital. |
Liceo |
1872 |
1875 |
Rigoni |
Giuseppe |
Filosofia, Latino e greco |
Liceo |
1878-79 |
1880-81 |
Rocchetti |
Marcello |
Matematica |
Liceo |
1883-84 |
1884-85 |
Romanelli |
Pietro |
1876-77 |
|||
Soringo |
Eugenio |
Materie letterarie |
Ginnasio superiore |
1868-69 |
1874-75 |
Stiavelli |
Giorgio |
Materie letterarie |
Ginnasio superiore |
1878-79 |
1882-83 |
Termine-Trigona110 |
Vincenzo |
Lett.ital. |
Liceo |
1883-84 |
1884-85 |
Tognoli |
Oreste |
Matematica |
Liceo |
1868-69 |
1871-72 |
Zappalà |
Pietro |
Aritmetica |
Ginnasio |
1868-69 |
1875-76 |
Insegnanti e materie impartite tra il 1861-62 e il 1884-85 al Liceo “N. Spedalieri”111 |
|||||||
Anni scolast. |
Latino e greco |
Letterat. italiana |
Filosofia |
Storia |
Matemat. |
Fisica e Chimica |
Storia naturale |
1861-62 |
La Rosa |
De Felice |
Beritelli |
Biondi |
|||
1862-63 |
De Felice |
De Felice |
Biondi |
||||
1863-64 |
Biondi |
||||||
1864-65 |
Biondi |
||||||
1865-66 |
Aradas |
||||||
1866-67 |
Aradas |
||||||
1867-68 |
Bustelli |
Aradas |
|||||
1868-69 |
Lanzani |
Bustelli |
De Felice |
Beritelli |
Tognoli |
Boltshauser |
Aradas |
1869-70 |
Boltshauser |
||||||
1870-71 |
|||||||
1871-72 |
Lanzani |
Fenaroli |
De Felice |
Beritelli |
Tognoli |
Pulvirenti |
|
1872-73 |
Lanzani |
Rapisardi |
De Felice |
||||
1873-74 |
Rapisardi |
||||||
1874-75 |
D’Addazio |
Rapisardi |
De Felice |
Beritelli |
|||
1875-76 |
D’Addazio |
Giorgi-Largajolli e D’Addazio (supplenti) – Bonari |
De Felice |
Largajolli |
Caporali |
Bellasi |
Pulvirenti |
1876-77 |
Decia (supplente) |
Bonari |
Beritelli |
Gambera |
Pulvirenti |
||
1877-78 |
Pozzuolo |
Bonari |
De Felice |
Beritelli |
Bellasi |
||
1878-79112 |
Pozzuolo |
Bonari |
Rigoni |
Beritelli |
Gambera |
Palmieri |
|
1879-80 |
Pozzuolo |
Bonari |
Rigoni |
Beritelli |
Gambera |
Palmieri |
Pulvirenti |
1880-81 |
Rigoni -Pili (latino) e Stiavelli (greco) |
Cipolla |
De Felice e Rigoni |
Pili |
Gambera |
||
1881-82 |
Pozzuolo Bruno (latino) e Stiavelli (greco) |
Cipolla |
De Felice |
Pili e Guarnaccia |
Gambera |
Pulvirenti |
|
1882-83 |
Pozzuolo Bruno (latino) e Stiavelli (greco) |
Lo Parco |
|||||
1883-84 |
Pozzuolo Bruno (latino)- Pizzuto (greco)- Drago (latino e greco) |
Lo Parco e Termine Trigona |
Pozzuolo |
Pili |
Rocchetti |
Pulvirenti |
|
1884-85 |
Pozzuolo-Bruno (latino)- Pizzuto (greco)- Drago (latino e greco) |
Lo Parco e Termine Trigona |
Pozzuolo |
Pili |
Rocchetti |
Pulvirenti |
Note al testo
1 Cfr. G. Giarrizzo, M. Musumeci, Per una storia d’Italia come storia delle sue scuole. Una scuola di frontiera, la «Manzoni» di Catania (1963-1988), Maimone, Catania 2005.
2 Si stabiliva inoltre quali nuove scuole istituire. Per l’istruzione classica − specifica il decreto − «sarà un Liceo in ciascuna città capo di provincia; un Ginnasio in ciascun capo di circondario e in tutte quelle città la cui popolazione sorpassa i ventimila abitanti»: articolo 19 del Decreto n. 263 del 17 ottobre 1860 in Raccolta degli atti del governo dittatoriale e prodittatoriale in Sicilia (1860), tip. Lao, Palermo 1861, p. 484. Ginnasi governativi furono infatti istituiti ad Acireale, Nicosia e Caltagirone, le tre città capo di circondario della provincia di Catania.
3 La legge Casati, emanata per il Piemonte nel 1859, venne estesa a tutto il territorio nazionale dopo l’unificazione italiana. La differenziazione tra studi classici e studi tecnici che la caratterizza ricalcava principalmente il modello prussiano ma rispecchiava una distinzione presente in maniera più o meno accentuata in molti paesi dell’Europa del tempo. Il corso di studi classici in Italia prevedeva una durata di otto anni complessivi ed era suddiviso in due gradi: il Ginnasio di cinque anni e il Liceo di tre. Al Ginnasio si apprendevano lettere italiane, latino, greco, aritmetica, geografia e storia. A proposito del sistema scolastico italiano post-unitario cfr. G. Cives, a cura di, La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni, La Nuova Italia, Scandicci 1990; S. Santamaita, Storia della scuola: dalla scuola al sistema formativo, Mondadori, Milano 1999; G. Genovesi, Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, Laterza, Bari 2001.
4 Il problema dei metodi di insegnamento fu ampiamente affrontato soprattutto dai positivisti, cfr. D. Bertoni Jovine, a cura di, Positivismo pedagogico italiano, UTET, Torino 1973.
5 A proposito della ‘tipologia’ di docenti reclutati nelle scuole classiche dopo l’unificazione italiana cfr. M. Raicich, Itinerari della scuola classica dell’Ottocento, in S. Soldani, G. Turi, a cura di, Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, Il Mulino, Bologna 1993, pp. 131-170.
6 Ma va diminuendo chiaramente negli anni successivi: il Preside dello Spedalieri, in una relazione sull’andamento dell’istituto nell’anno scolastico 1868/1869 rivolta al Ministro della pubblica istruzione, inserisce tra le sue proposte l’abolizione del direttore spirituale previsto dalla legge Casati. Inoltre il Prefetto in una Relazione al Consiglio Provinciale Scolastico, databile ai primi anni Settanta dell’Ottocento, fa sapere che al liceo-ginnasio Spedalieri «l’istruzione religiosa è agonizzante, perché nessuno degli alunni vuol riceverla», Archivio di Stato di Catania (d’ora in poi ASC), Prefettura di Catania, serie II, inv. II, busta 107.
7 Studioso di cultura enciclopedica e socio attivo dell’Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania, «dottore in Teologia e Sacri canoni, esaminatore del Regio Clero, socio dell’Accademia dei Trasformati di Noto, già professore di Etica Cristiana, di Bibbia e di Lingue orientali nel seminario dei Chierici e professore provvisorio di Dogmatica nella Regia Università di Catania». Cfr. G.C. Zanghì, Per la inaugurazione del Real Liceo e Ginnasio di Catania, tip. Galatola, Catania 1862, p. 1. Tra i suoi scritti cfr. L’uomo e la scimmia. (Memoria del socio ordinario Canonico Giuseppe Coco Zanghì), in «Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania», serie III, tomo V, Galatola, Catania 1871, pp. 113-155, in cui confuta la teoria darwiniana dell’evoluzione.
8 G.C. Zanghì, Per la inaugurazione… cit., p. 17.
9 G.C. Zanghì, Per la inaugurazione… cit., p. 23.
10 Ivi, pp. 23-24.
11 Ivi, p. 15.
12 V. La Rosa, Sulla istruzione del popolo e protezione delle lettere. Discorso augurale di Vincenzo La Rosa alla cattedra di letteratura italiana nel R. Liceo di Catania novellamente istituito, tip. La Fenice di Musumeci, Firenze 1862, p. 12.
13 Ivi, pp. 12-14.
14 Fu anche autore di un Elogio di Pietro Giordani, Felice Sciuto, Catania 1851.
15 V. La Rosa, Elementi di retorica compilati da Vincenzo La Rosa ad uso de’ suoi Figliuoli, tip. Galatola, Catania 1872.
16 Ivi, pp. 5-6.
17 Esempio di retorica classicistica.
18 Fu autore negli anni Trenta di un adattamento in chiave classicistica delle istituzioni di retorica del Blair che circolò per molti anni nelle scuole.
19 V. La Rosa, Elementi di retorica… cit., p. 3.
20 V. La Rosa, Elementi della storia della letteratura italiana, Stamperia sulle logge del grano, Firenze 1863.
21 Aveva già esercitato l’attività di docente presso l’istituto «Gorgia» di Lentini.
22 Cfr. A. De Gubernatis, Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Le Monnier, Firenze 1879-1880. Fu inoltre socio di diverse accademie: la Gioenia di Catania, la Peloritana di Messina, la Dafnica di Acireale e dell’Accademia di Petrarca ad Arezzo; cfr. anche De Felice Francesco, Elementi di Filosofia positiva, tip. Coco, Catania 1870, p. 1.
23 Cfr. in proposito il suo scritto Studi pedagogici, tip. Galatola, Catania 1861.
24 Ivi p. 56.
25 F. De Felice, Introduzione alla Letteratura Italiana, tip. Coco, Catania 1863, p. XII.
26 Ivi, p. 46.
27 F. De Felice, Introduzione alla Letteratura… cit., p. 66.
28 Quell’anno venne nominato Provveditore agli studi della provincia di Siracusa, cfr. ASC, Prefettura di Catania, serie II, inv. II, busta 85.
29 F. De Felice, Elementi di Filosofia positiva, Tip. Coco, Catania 1870.
30 F. De Felice, Tesi di Filosofia per gli esami di licenza liceale secondo il programma governativo, Tip. Roma, Catania 1873.
31 De Felice, Elementi di Filosofia… cit., p. XXV.
32 Cfr. Ibidem.
33 Vedi quanto dice riguardo le ispezioni governative: «una piaga per l’istruzione secondaria, sono state le Commissioni ispettorie spedite dal Ministero, le quali, sebbene siano state sempre composte da uomini distintissimi, pure non sempre le loro Relazioni sono andate di accordo, per quel vario modo di sentire e d’intendere che non di rado trovasi negli uomini che professano le medesime discipline o le stesse scienze. Laonde i giudizii dei componenti delle Commissioni intorno a’ professori de’ Ginnasii e de’ Licei, sono riusciti quasi sempre contraddittorii, imperocché gli uni vogliono che l’insegnamento secondario sia largo ed abbracci tutta intera la scienza; gli altri che sia ristretto e compendioso, quasi ridotto ad una serie di definizioni. Qual giovamento siffatti giudizii possano recare alla giustizia del governo, io non saprei; so bensì che i professori delle scuole secondarie, lodati e biasimati secondo il vario giudizio di codeste Commissioni, non sanno più a qual metodo attenersi, ed hanno perduto gran parte di quella energia che nasce dalla propria convinzione, e dal sapersi liberi nel loro insegnamento», in ivi, p. VII.
34 F. De Felice, Tesi di Filosofia… cit., pp. 4-5.
35 F. De Felice, Considerazioni intorno ai programmi approvati col Real decreto del 10 ottobre 1867, in Id., Elementi di Filosofia… cit., pp. V-XVII. Il Ministro Coppino raccomandava che lo studio della filosofia si adattasse alla capacità dei giovani e che quindi tralasciasse «certe dispute molto spinose, che trovano luogo in un superiore insegnamento». I principali precetti da seguire erano tre: «distinguere la filosofia elementare dalla filosofia superiore; star sempre […] nei soli confini della filosofia elementare; adoperare quel metodo che si addice a tal parte della filosofia». Il fine è far «apprendere di filosofia quant’occorra per sapere le più manifeste ragioni di ciò che sappiamo dal senso comune, apprendere quanto giovi ad ogni esercizio di scienza e di lettere o d’arti non manuali», in G. Bonetta, G. Fioravanti, a cura di, L’istruzione classica (1860-1910), Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Roma 1995, pp. 41-42.
36 F. De Felice, Elementi di Filosofia… cit., p. VII.
37 È inserita all’interno dell’opuscolo Elogio di Tommaso Campanella, tip. Caronda, Catania 1868. Si tratta di un discorso pronunciato da Bustelli in occasione di una «festa letteraria» tenutasi al Regio Liceo Spedalieri nel 1867.
38 Fu professore di letteratura italiana e storia nel Regio Istituto Tecnico di Bologna. Cfr. di G. Bustelli anche lo scritto Letteratura e civiltà: prolusione recitata dal professore Giuseppe Bustelli nel solenne aprimento del ginnasio di Ascoli il 14 marzo 1861, L. Cardi, Ascoli 1861.
39 Cfr. Dizionario biografico degli italiani, vol. 15, Treccani, Roma 1972.
40 Edito dalla Tip. Caronda, Catania 1868.
41 Così il ministro Coppino nei programmi del 1867: «gli esempi gioveranno assai più che le teoriche; né le teoriche possono menare ad alcun risultamento pratico, se non raccolte per giudiziosa induzione, e non si mostrino a’ giovani vive e parlanti negli scrittori». I programmi introdotti dal ministro Coppino nel 1867 cercarono di rendere gli studi «più graduati e proporzionati secondo la ragione loro intima, o secondo la capacità degli alunni» mentre i programmi del 1860 e del 1862 erano quasi esclusivamente un elenco di nozioni da imparare per superare l’esame finale, privi di riferimenti pedagogici o didattici. Cfr. G. Bonetta, G. Fioravanti, a cura di, L’istruzione classica… cit., pp. 38-39.
42 G. Bustelli, Elogio di Tommaso… cit., pp. 27-28.
43 G. Bustelli, Elogio di Tommaso… cit., pp. 28-31.
44 «Occupato il Giovedì con pubbliche conferenze in materie già svolte nelle classi, a modo di riassunti, alternandosi le conferenze propriamente dette in cui prendevano parte gli alunni e il professore, con alcune dissertazioni accademiche, ma sempre nell’ordine e nella cerchia dei programmi; – conferenze che si continuarono, senza interruzione, fino a tutto Luglio», così Vincenzo Riccardi di Lantosca, Preside allo Spedalieri tra il 1866 e il 1869, in una relazione al prefetto (Relazione finale per il 1868/69 conservata in ASC, Prefettura di Catania, serie II, inv. II, busta 107). Nato intorno al 1835, Riccardi apparteneva a una nobile famiglia nizzarda. Aveva studiato lettere all’Università di Torino e ancora studente si era dedicato alla pubblicazione del giornale letterario intitolato: «Il Satana». Dopo la laurea era divenuto professore di ginnasio ad Aosta e prima di diventare Preside aveva esercitato l’attività di docente di lettere italiane in diversi licei d’Italia. Fu oltre che a Catania, a Brescia, a Milano e a Bari. Scrisse dei versi raccolti sotto il titolo Le isole deserte, cfr. De Gubernatis, Dizionario biografico degli… cit., pp. 874-875.
45 G. Bustelli, Su la Canzone del Petrarca all’Italia, tip. Caronda, Catania 1869, p. 1.
46 Ivi, p. 3.
47 Cfr. E. Esposito, Mario Rapisardi, in Letteratura italiana. I minori, IV, Marzorati, Milano 1962, p. 3071.
48 Cfr. M. Rapisardi, Epistolario, a cura di A. Tomaselli, Giannotta, Catania 1922, p. XII.
49 Lettera a G. Stiavelli, dicembre 1881, in ivi, p. 162.
50 Cfr. S. Catalano, Una vita tormentata: Mario Rapisardi e Giselda Fojanesi, La tecnica della scuola, Catania 1991, pp. 49-50.
51 M. Rapisardi, Il nuovo concetto scientifico, tip. Galatola, Catania 1880, pp. 8-9.
52 M. Rapisardi a F. Rapisardi, di villa, 10 settembre 1877, in Id., Epistolario… cit., pp. 103-104.
53 Cfr. Ivi, pp. XIII-XIV.
54 Lettera conservata presso le Biblioteche Riunite Civica e Ursino-Recupero, Fondo Rapisardi Corrispondenti.
55 Ibidem.
56 Cfr. S. Catalano, Una vita tormentata: Mario Rapisardi e Giselda Fojanesi, La tecnica della scuola, Catania 1991, pp. 121-122.
57 M. Rapisardi, Epistolario… cit., pp. 48-51.
58 Poetessa e patriota. Nata a Rovigo nel 1834, morta nel 1876 a Roma, ove diresse la scuola superiore femminile.
59 Provveditore centrale per l’istruzione secondaria.
60 M. Rapisardi, Epistolario… cit., pp. 62-63. Altro riferimento sulla sua vita al Liceo è in una lettera che Angelo De Gubernatis gli scrisse il 16 gennaio 1874 da Firenze, informato di suoi contrasti col Preside:
«Vidi per un momento oggi la tua signora suocera, e mi fece dotto di gravi dispiaceri e contrasti che hai con codesto Preside.
Non so di che si tratti. Cercherò di vederla domani o doman l’altro per saperne di più. Intanto ti scrivo un rigo per supplicarti d’aver coraggio e pazienza – finché puoi. Il tuo tempo, per Dio, verrà». Lettera conservata presso le Biblioteche Riunite Civica e Ursino-Recupero, Fondo Rapisard – Corrispondenti.
61 M. Rapisardi, Introduzione allo studio della letteratura italiana, Grimaldo, Venezia 1871, pp. 17-18.
62 Rapisardi, Epistolario, cit., p. 20.
63 Settimio Cipolla glielo aveva inviato su richiesta dello stesso Rapisardi che, rallegrandosi per la nomina di docente presso il Liceo accordata all’amico, gli aveva scritto in una lettera, datata 5 ottobre 1880: «ora siete finalmente al vostro posto. Io ne sono proprio contento. Se credete che quel po’ d’esperienza acquistata insegnando due anni al liceo vi possa in qualche modo giovare, io la metto tutta ai vostri ordini […]. Non vorreste mandarmi il programma delle lezioni che darete al liceo?», in M. Rapisardi, Epistolario… cit., pp. 124-125.
64 Da S. Giovanni La Punta, 30 ottobre 1880 in M. Rapisardi, Epistolario… cit., p. 126.
65 La lettera è riportata in C. Librizzi, Per una scuola migliore, Castorina, Catania 1968, pp. 43-44.
66 M. Rapisardi: La scuola e la vita, in «Endimione», 15 agosto 1924.
67 Diventerà ordinario nel 1879, e aprirà l’anno accademico (1879/1880) con la prolusione Il nuovo concetto scientifico… cit.
68 S. Catalano, Una vita tormentata… cit., p. 50.
69 Raffaele Bonari insegnò allo Spedalieri tra il 1876 e il 1880. Nacque a Spinoso il 2 maggio 1845 e morì il 24 gennaio 1911. Nell’agosto del 1860 cooperò alla costituzione del governo provvisorio lucano. Di De Sanctis curò il volume postumo Studio su Giacomo Leopardi (Morano, Napoli 1885, I ediz.). Insegnò letteratura italiana anche a Pisa e nei collegi militari di Napoli e di Roma, cfr. F. Ercole, Gli uomini politici, in Il Risorgimento Italiano, vol. II, E.B.B.I., Roma 1942. Tra i suoi scritti ricordiamo il discorso pronunciato Per la solenne distribuzione di premi alle scuole pubbliche e private di Catania (tip. Bellini, Catania 1877), durante la festa nazionale dello statuto.
70 S. Salomone, La Sicilia intellettuale e contemporanea, F. Galati, Catania 1911.
71 Cfr. M. Rapisardi, Epistolario… cit., p. 183.
72 Documento datato 19 settembre 1882, ASC, Prefettura di Catania, serie II, inv. II, busta 85.
73 Ibidem.
74 S. Cipolla, Ai giovani del Liceo Spedalieri, F. Galati, Catania 1881, pp. 33-36.
75 Ivi, p. 18.
76 S. Cipolla, L’educazione scientifica nelle scuole primarie, Tip. della gazzetta d’Italia, Firenze 1879.
77 Ivi, pp. 29-30.
78 M. Rapisardi, Epistolario… cit., p. 124.
79 A. D’Ancona, O. Bacci, Manuale della letteratura italiana, Barbera, Firenze 1913, pp. XI-XII.
80 Cfr. S, Cipolla, Ai giovani del… cit., p. 36.
81 A questo proposito si riporta il titolo del tema d’italiano assegnato per la licenza liceale nel 1885: «Considerata la grandissima parte che nella civiltà presente hanno le scienze e le loro applicazioni, ricercare quale campo rimanga alle varie forme letterarie, specialmente alla poesia» citato in P. De Nardi, Di un falso supposto nel tema di italiano per l’esame di licenza liceale dell’anno 1885, Camilla e Bertolero, Torino 1885. Nel 1891 Villari, nella relazione in cui spiegava al Re le ragioni delle sue modifiche ai programmi del 1891, sosteneva la necessità di semplificare il programma delle materie scientifiche, riducendolo a un insegnamento elementare, più consono agli istituti di istruzione secondaria classica e ciò perché sotto la spinta della diffusione del Positivismo «il programma di alcune scienze è divenuto troppo particolareggiato» in G. Bonetta, G. Fioravanti, a cura di, L’istruzione classica…cit., p. 48.
82 L’Accademia inoltre promuoveva i contatti con le altre istituzioni culturali e di ricerca italiane ed estere alle quali inviava il bollettino e gli atti (in cui venivano pubblicati periodicamente i lavori dei suoi soci), ricevendone in cambio le loro produzioni editoriali; cfr. M. Alberghina, a cura di, L’Accademia Gioenia: 180 anni di cultura scientifica (1824-2004). Protagonisti, luoghi e vicende di un circolo di dotti, Maimone, Catania 2005, p. 12.
83 G.C. Zanghì, Per la inaugurazione del Real liceo… cit., pp. 9-13.
84 S. Biondi-Giunti, Sull’utilità dello studio della storia naturale e sulle più probabili idee della genesi del globo, Galatola, Catania 1862, p. 1. A proposito dell’origine della terra Biondi scrive: «Potessimo renderci certi dei misteriosi segreti della creazione, della genesi del globo terracqueo! ma invano! Tutto quello che si è detto dagli antichi filosofi, non sono che chimere, e dotte e splendide ipotesi. E noi riferendo le opinioni di taluni autori, le esporremo soltanto come cenni storici di quelle idee spacciate sino allo stato attuale dalla scienza, e non le terremo come dommi; ma come assurde fantasie o probabili congetture», ivi, p. 14.
85 Esattamente della Società Senckerbergiana dei Curiosi della Natura di Francoforte sul Meno, dell’Accademia delle Scienze detta dei Fisiocratici di Siena, dell’Accademia Aretina del Petrarca in Arezzo, della Accademia agraria di Pesaro.
86 Per i cenni biografici su S. Biondi cfr. la Necrologia di Salvatore Biondi scritta da Salvatore Brancaleone e pubblicata nel «Giornale del gabinetto letterario dell’Accademia Gioenia», Nuova serie, volume IV, fasc. II, Galatola, Catania marzo e aprile 1865, pp. 110-112.
87 S. Biondi-Giunti, Sull’utilità dello… cit., pp. 13-14.
88 Ivi, pp. 4-6.
89 S. Biondi-Giunti, Sull’utilità dello… cit., pp. 7-13.
90 Cfr. «Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania», serie II, tomo XIX, Galatola, Catania 1864, pp. 173-217.
91 Ivi, p. 175.
92 Brancaleone, Necrologio di Salvatore Biondi, p. 111.
93 G.A. Boltshauser, Elogio di Ferdinando Aradas, in «Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania», serie III, tomo VIII, Galatola, Catania 1873, p. IV.
94 Cfr. a questo proposito la sua Relazione sulle scuole elementari municipali letta nella seduta del 7 maggio al Consiglio comunale di Catania, tip. Caronda, Catania 1869.
95 G.A. Boltshauser, Elogio di Ferdinando… cit., p. V.
96 Egli abbracciando l’ipotesi «del calore centrale della terra», avvalorandola con diversi elementi puntualmente riportati, ritiene proprio questo calore la causa prima delle eruzioni vulcaniche poiché nel corso di un secolo una parte piccolissima di esso viene emessa con conseguente contrazione della crosta del globo, fenomeno che rende necessario l’efflusso di un uguale volume di materia fusa. Questo efflusso ha luogo per l’azione di agenti locali come l’acqua del mare che si infiltra negli strati della crosta terrestre trasformata in vapore dal calore sotterraneo, o probabilmente quella dei laghi e delle piogge. Più complessa la spiegazione dei terremoti per i quali l’autore individua diverse cause: innanzitutto distingue i terremoti legati all’attività vulcanica, causati probabilmente dall’urto della materia liquida spinta dalla forza elastica del vapore acqueo contro le pareti del fuoco vulcanico, da quelli che non hanno alcun rapporto con essa. Questi ultimi sono probabilmente legati ai lenti movimenti del suolo causati dall’espansione della materia ignea, dallo spostamento delle linee isotermiche e dalla dilatabilità delle rocce che compongono la crosta del globo: quando l’intensità di questi fenomeni aumenta si verifica una scossa. Altra causa ne sono «le frane che si verificano nel sottosuolo e gli schiacciamenti delle cavità sotterranee che vengono ad un tratto colmate dal materiale sovraincombente», cfr. F. Aradas, Le cause delle eruzioni vulcaniche e dei terremoti, Galatola, Catania 1868, p. 48.
97 F. Aradas, I fatti e le teorie. Discorso letto nella R. scuola tecnica di Catania in occasione dell’apertura del nuovo anno scolastico 1864/65, Galatola, Catania 1865, pp. 4-6.
98 F. Aradas, I fatti e… cit., p. 20.
99 F. Aradas, Elogio del Cav. Giuseppe Gioeni letto nella gran sala del palazzo municipale il 17 marzo 1869 nella ricorrenza dell’annua festa letteraria liceale, tip. Caronda, Catania 1869, p. 3.
100 Ivi, p. 27.
101 G. Pulvirenti, Ricerche chimiche per servire allo studio dei vini della Sicilia, fatte nel laboratorio di chimica della R. Università di Catania sotto la direzione del prof. Orazio Silvestri, in «Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania», serie III, tomo XII, Galatola, Catania 1869, pp. 48-49.
102 G.A. Boltshauser, Formole meteorologiche. Nota, Galatola, Catania 1870, pp. 1-2.
103 G.A. Boltshauser, Lo sperimento di Foucault eseguito nella chiesa degli ex padri benedettini di Catania, comunicato all’Accademia Gioenia nella seduta del 28 febbraio dal socio corrispondente Cav. G. A. Boltshauser prof. di fisica, direttore del gabinetto di fisica e dell’osservatorio meteorologico della R. Università di Catania, in «Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania», serie III, tomo IV, Galatola, Catania 1870, pp. 83-110.
104 G.A. Boltshauser, Elogio di Carlo Gemmellaro detto nella gran sala del Palazzo Municipale il 17 marzo 1870, in occasione dell’annua festa letteraria liceale dal Cav. G.A. Boltshauser, Galatola, Catania 1870, p. 24.
105 G.A. Boltshauser, Trattato di geometria intuitiva, Loescher, Torino 1882, p. 1.
106 Fonte: ASCT (Archivio di Stato di Catania), Fondo prefettura, Affari speciali dei comuni, serie II, inventario II, busta 68.
107 S. Biondi-Giunti, Sull’utilità dello studio della storia naturale, tip. Galatola, Catania 1862.
108 Fu professore di letteratura italiana, latina e greca nel Seminario Vescovile, di storia nel Collegio Cutelliano; fu inoltre professore di letteratura e archeologia greca nella Regia Università di Catania, cfr. S. Bruno, Sulle doti da cercarsi in un ispettore scolastico e sulla fallacia del concorso come criterio per conoscerle, Cavallaro, Catania 1878, p. 1.
109 Professore nel Liceo di Padova, nacque il 2 dicembre 1837; laureatosi nel 1864 in lettere all’Università di Pisa, fu nominato nello stesso anno professore a Trapani, passò a Catania nel 1866, e nel 1873 a Padova, (cfr. A. De Gubernatis, Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Le Monnier, Firenze 1879-1880, p. 612).
110 Educatore e pubblicista, nato a Castrogiovanni il 18 novembre 1857 da Francesca e Giuseppe Trigona. La sua vita di scrittore ebbe inizio nel 1875 con la rappresentazione presso il teatro «Alfieri» di Catania, d’un dramma in versi, intitolato L’apostolo siciliano. Successivamente si stabilì definitivamente a Catania dove fu chiamato a insegnare lettere italiane presso il “R. Istituto tecnico” e poi presso il “R. liceo Spedalieri”. Nel 1885 fu chiamato a dirigere la scuola tecnica di Melfi (Potenza) non governativa. Insegnò privatamente in Caltanissetta e Catania, francese e tedesco. Nel 1891 si fornì, presso la R. Università di Napoli, di diploma d’abilitazione all’insegnamento delle lettere italiane nelle scuole normali e negli istituti d’istruzione secondaria. Nel 1897 fu nuovamente a Catania dove insegnò nella R. scuola tecnica “Sammartino Pardo”, cfr. S. Salomone, La Sicilia intellettuale e contemporanea, F. Galati, Catania 1911, pp. 422-423.
111 Fonte: ASCT, Fondo prefettura, Affari speciali dei comuni, serie II, inventario II, busta 68.
112 A partire da quest’anno scolastico il primo e il secondo liceo furono divisi in due sezioni, di conseguenza aumentò il numero dei docenti.